VISITA DEL PAPA A REBIBBIA, CUFFARO: “E’ STATO UNO DI NOI”
Una lettera che racconta la fede rinnovata, la speranza che può nascere tra le sbarre di un carcere. A firmarla è Totò Cuffaro, “detenuto nel carcere di Rebibbia”, come lui stesso si firma, dopo l’incontro con Papa Francesco. “E’ voluto essere uno di noi, il suo amore e la sua misericordia sono Cristo”.
E a pubblicarla in prima pagina è Avvenire, il quotidiano dei vescovi. Un fatto impensabile quattro anni fa, come sottolinea il direttore Marco Tarquinio che si dice oggi “scosso” e “commosso” dalle parole del “potente caduto e condannato a sette anni di carcere”. Cuffaro parla di una fede rinnovata nelle mura del penitenziario romano, dove Papa Francesco il 2 aprile ha celebrato il rito della lavanda dei piedi. “Dentro il deserto del carcere, poveri in mezzo ai poveri e tutti nella miseria, abbiamo sperato ancora”.
L’ex governatore della regione Sicilia, condannato a sette anni per favoreggiamento aggravato alla mafia, ricorda come avesse cercato anche nel passato un cammino con Cristo ma “l’incontro che veramente ce lo ha fatto conoscere è accaduto qua dentro”. In un luogo che “tenta di far scomparire l’uomo Lui ci ha svelato la sua dimensione essenziale”. Per Cuffaro “è disumano voler annullare l’uomo”, e per questo “vogliamo gridare ancora più forte, vogliamo riuscire a gridare al posto di chi qua dentro non ha la capacità o la forza di gridare nonostante soffra molto”.
Sulla cerimonia del Giovedì santo racconta: “La voce del Papa era stanca e addolorata ma era ‘la voce buona’, noi detenuti l’abbiamo riconosciuta subito. Lui era Cristo. Grazie, Francesco”. Tarquinio commenta in prima pagina il “capovolgimento” di quest’uomo che “considera la propria vita e le proprie scelte, e non si giustifica orgogliosamente né si autoassolve”. Un capovolgimento “per tanti forse inimmaginabile, per qualcuno probabilmente incredibile, per altri ancora semplicemente inconcepibile e inaccettabile”, e invece per un cristiano si tratta di “un cambiamento possibile”.
Questa la lettera inviata da Cuffaro al direttore di Avvenire