Vaccini, l’infelice primato della Sicilia nel solco di antichi guasti e superficialità
SICILIA. Di Calogero Pumilia
Quando in paese la bisnonna ‘Ntunina vide la prima automobile, stupita e impaurita giurò che non vi sarebbe mai salita perché quella era “opera di ‘ntantazione”. E a lei il demonio non la dava a bere.
La bisnonna era del 1854 e dello stesso periodo era lu zu’ Turi. Nessuno dei due sapeva dell’esistenza di Karl Benz e di Guglielmo Marconi. Posti di fronte a importanti prodotti della tecnologia, istintivamente erano portati a rifiutare la modernità che si affacciava a turbare le regole del loro vecchio mondo che scorreva da sempre uniforme. Quale differenza ci trovate, dopo cento anni, con quanti nel mio paese e altrove rifiutano la vaccinazione, ritenendola opera del demonio o strumento di un complotto? La differenza sostanziale dovrebbe essere giusto il secolo trascorso tra chi non riconosceva la modernità e chi vive nella realtà della tecnica e della scienza, eppure la rinnega.
Non può funzionare, ci dev’essere qualcosa dietro e nel tranello del complotto non ci cascano. La vicenda sicuramente è stata organizzata in tutto il mondo da potentissimi demoni che assumono le fattezze delle grandi case farmaceutiche e da misteriosi gruppi economici e finanziari che hanno trovato il modo di controllare tutti più di quanto già non lo siamo, inserendo i microchip nel corpo di ciascuno di noi.
L’infelice primato della Sicilia, in testa per il numero di non vaccinati, per i nuovi ammalati, per i ricoveri e per gli insegnanti che tuttora rifiutano di immunizzarsi è sicuramente il risultato di una fuga dalla scienza e dalla ragione e tuttavia buttarla sulla antropologia è strada che non spunta. Saremo, noi siciliani, come diceva Montanelli, italiani esagerati e tuttavia non siamo molto diversi dalla media dei nostri connazionali. Abbiamo un governo regionale di destra e, come la maggior parte delle altre giunte dello stesso segno, non sostiene i no vax ed anzi Musumeci consiglia espressamente il vaccino e lascia a Salvini e Meloni di abbaiare alla luna, rincorrendo quanti vogliono restare nel buio dell’irrazionalità.
Se non c’è una spiegazione antropologica, una qualche ragione che giustifichi questo triste primato ci dev’essere. Lasciamo stare i morti spalmati. È roba antica che pure qualche strascico avrà lasciato. Sicuramente nelle scelte di contrasto al Covid c’è stata superficialità che si è sommata ai guasti antichi della politica sanitaria, quella che ha puntato sui grandi ospedali e ha smantellato le strutture di prossimità.
Si sapeva già che la Sicilia è fatta di tanti piccoli paesi collegati da una pessima viabilità e con una popolazione molto avanti negli anni e difficilmente propensa a spostarsi; e quando la montagna non viene a Maometto, allora Maometto deve andare alla montagna. Ed in questo caso ci si va con i medici di base, molti dei quali, per la verità, sono stati parecchio restii all’impegno o forse non sufficientemente motivati. Alla montagna ci si va attrezzando le guardie mediche per la vaccinazione, utilizzando ovunque le farmacie, mettendo in campo, cioè, tutte quelle strutture e tutte quelle persone che sono in grado di aiutare a far riflettere i paurosi e di indurre gli irresponsabili ad un approccio sensato. In questo caso, con la consapevolezza che le scelte non possono essere uniformi in tutto il territorio regionale e che vi è una diversità profonda tra le grandi città e i piccoli centri. Non ci si deve stancare di spiegare che la scienza non può essere surrogata dalla stregoneria, che non si vince il premio Nobel imparando dai social e che viaggiamo tutti sulla stessa barca dove occorre che ciascuno mantenga la propria posizione.
Al tempo della mia infanzia, si raccontava che Peppe viaggiava verso gli Stati Uniti su una vecchia e malconcia carretta del mare della fine dell’ottocento. Una tempesta atlantica fece rischiare il naufragio. Sballottati dalle onde, alcuni dei viaggiatori piangevano, altri pregavano, altri ancora si disperavano. Peppe, tranquillo, se ne stava seduto a fumare la pipa e quando qualcuno gli urlò che l’imbarcazione poteva affondare, egli ribatté “a cu la cunta? Che è meia la nave?”.
Alla fine Peppe e tutti gli altri evitarono di annegare per la perizia del capitano e dell’equipaggio della nave e per il buon senso dei passeggeri, che accettarono di mantenere il posto da loro indicato.