“TRIVELLA SELVAGGIA”: DOSSIER DI GOLETTA VERDE

Goletta Verde ha presentato il dossier “Trivella Selvaggia” che punta i riflettori sulla minaccia delle estrazioni petrolifere e presenta i numeri ed i rischi della ricerca dell’oro nero per le coste italiane, nel quale si legge che «non accenna a fermarsi la corsa al petrolio in Italia e i pirati dell’oro nero minacciano sempre di più il mare italiano.

Nei mari del Belpaese sono già attive 9 piattaforme di estrazione petrolifera ma, grazie ai colpi di spugna normativi dell’ultimo anno, a partire da quello previsto dal recente decreto Sviluppo promosso dal ministro Corrado Passera e in via di approvazione definitiva dal Parlamento, si potrebbero aggiungere almeno altre 70 trivelle.

Attualmente, 10.266 km2 di mare italiano sono oggetto di 19 permessi di ricerca petrolifera già rilasciati (gli ultimi due sono stati sbloccati il 15 giugno scorso nel tratto abruzzese di Adriatico di fronte la costa tra Vasto e Ortona); 17.644 km2 di mare minacciati da 41 richieste di ricerca petrolifera non ancora rilasciate ma in attesa di valutazione e autorizzazione da parte del Ministero dello Sviluppo Economico. In definitiva, tra aree già trivellate e quelle che a breve rischiano la stessa sorte, si tratta di circa 29.700 kmq di mare, una superficie più grande di quella della regione Sardegna».

I dati del dossier sono stati elaborati sulla base dei numeri pubblicati sul sito del ministero dello sviluppo economico, e secondo Legambiente «Indicano un quadro allarmante che rischia di ipotecare seriamente il futuro del mare italiano e delle attività economiche connesse, a partire dal turismo di qualità e dalla pesca sostenibile, con rischi di incidenti che non vale la pena di correre, a maggior ragione considerando i quantitativi irrisori presenti nei fondali marini italiani». Le 9 piattaforme petrolifere attive in Italia operano in base a concessioni che riguardano 1.786 kmq di mare situate principalmente in Adriatico, a largo della costa abruzzese, marchigiana, di fronte a quella brindisina e nel Canale di Sicilia.

Il dossier sottolinea che «A queste aree marine interessate dalle trivelle se ne potrebbero aggiungere altre: attualmente le richieste e i permessi per la ricerca di petrolio in mare riguardano soprattutto l’Adriatico centro meridionale, il Canale di Sicilia e il mar Ionio (quest’ultimo è tornato all’attenzione delle compagnie petrolifere dopo che nel 2011 una norma ad hoc ha riaperto la strada alle trivelle anche nel golfo di Taranto), infine, un ultimo permesso di ricerca rilasciato riguarda anche il golfo di Oristano in Sardegna. Oltre a ciò, bisogna considerare che sui mari italiani gravano anche 7 richieste di estrazione di petrolio dove le fasi di ricerca hanno portato ad un esito positivo (3 nel canale di Sicilia, 2 davanti alle coste abruzzesi, 1 di fronte alle Marche e 1 nel mar Ionio) e 3 istanze di prospezione (si tratta della prima fase dell’iter autorizzativo, seguita da quella relativa alla ricerca di petrolio ed poi da quella che porta alla sua estrazione) che riguardano sostanzialmente tutto l’Adriatico da Ravenna al Salento, presentate nel 2011 dall’inglese Spectrum Geolimited e dalla Petroleum Geo Service Asia Pacific, con sede a Singapore, che rischiano di allargare di altri 45mila kmq l’area del mare italiano battuta dalle navi delle compagnie in cerca di petrolio.

I favori ai petrolieri non si limitano solo al via libera alle trivelle bloccate due anni fa, secondo Lehgambiente, «A questo si aggiunge anche l’irrisorio incremento delle royalties, previsto e propagandato per supportare attività di salvaguardia del mare e di sicurezza delle operazioni offshore da parte degli enti competenti. Si passa infatti dall’attuale 4% al 7%, percentuali che fanno sorridere rispetto a quelle praticate nel resto del mondo dove oscillano tra il 20% e l’80%. Si tratta di condizioni molto vantaggiose che ovviamente richiamano nel nostro Paese molte compagnie straniere: delle 41 istanze per permessi di ricerca attualmente in valutazione, infatti, solo 3 fanno capo a compagnie italiane (2 ad Eni e 1 aEnel) mentre tutte le altre sono richieste provenienti da società straniere».

Stefano Ciafani, vicepresidente nazionale di Legambiente, spiega che «Sull’energia il ministro Passera sta portando il nostro Paese in un vicolo cieco. Ha approvato i nuovi decreti di incentivazione per il fotovoltaico e le altre rinnovabili elettriche riempiendo il settore di burocrazia e paletti inutili e mettendo in serio pericolo un settore strategico per ridurre la dipendenza dall’estero, le emissioni di gas serra e inquinanti nonché per contribuire a far uscire il nostro Paese dalla crisi. Nel frattempo, non ha ancora approvato il decreto sulle rinnovabili termiche e non perde occasioni per dimostrarsi fautore del passato energetico fondato sulle fossili, come ha dimostrato non solo sulla riapertura alle vecchie richieste di trivellazioni di petrolio in mare ma anche con il tentativo di tenere in vita impianti termoelettrici in stato comatoso come le vecchie centrali a olio combustibile che andrebbero invece dismesse una volta per tutte. Lo sviluppo economico e l’uscita dalla crisi passa per una strada diversa, quella fondata sullo sviluppo delle rinnovabili e di serie politiche di efficienza in tutti i settori, a partire da quello dei trasporti, primo consumatore dei derivati del petrolio nel nostro Paese, che potrebbe portare nei prossimi anni i nuovi occupati a 250 mila unità. Parliamo cioè di numeri dieci volte superiori a quelli ottenuti grazie alle nuove trivellazioni e soprattutto parliamo di garantire uno sviluppo futuro, anche sul piano economico, sicuramente molto più sostenibile e duraturo dei soli 14 anni che ad oggi sono propagandati con la paradossale rincorsa allo scarsissimo oro nero made in Italy».

Archivio Notizie Corriere di Sciacca

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *