TRATTATIVA STATO-MAFIA, DEPOSITATE LE MOTIVAZIONI DELLA SENTENZA DI ASSOLUZIONE DI CALOGERO MANNINO: “PROVE INADEGUATE”

La sentenza di assoluzione risale al 3 novembre 2015. Il processo è avvenuto col rito abbreviato.

Il gup di Palermo, Marina Petruzzella, ha depositato le motivazioni della sentenza di assoluzione dell’ex ministro Calogero Mannino, accusato in abbreviato per minaccia a corpo politico dello Stato, in una tranche del processo sulla cosiddetta trattativa Stato-mafia.

La sentenza era stata pronunciata il 3 novembre 2015. Davanti alla Corte d’assise è in corso il dibattimento principale, sugli stessi fatti, a carico di boss, politici ed ex ufficiali dell’Arma, accusati a vario titolo di aver avuto un ruolo nel presunto patto che pezzi delle istituzioni avrebbero stretto con Cosa Nostra negli anni delle stragi mafiose.

“Si ribadisce che comunque nei confronti di Mannino gli elementi indiziari per affermare che vi fu da parte sua il genere di interferenza di cui è accusato risultano non adeguati”. Parla di prove “inadeguate”, di “suggestiva circolarità probatoria”, di “interpretazioni indimostrate” il gup Marina Petruzzella nelle motivazioni della sentenza di assoluzione depositate oggi.

“Non c’è qualcosa, come delle fonti orali o documentali che dimostrino – scrive il giudice – il collegamento tra l’iniziativa dei Ros di interloquire con Vito Ciancimino e l’evento ipotizzato dall’accusa di un accordo tra Mannino e Cosa nostra, per salvarsi e attuare un programma politico favorevole a una trattativa, volta a condizionare, partecipando alla volontà ricattatoria stagista della mafia, le scelte del Governo”.

“Allo stato degli atti appare improvabile, da un punto di vista processuale, che applica i canoni della gravità e della precisione indiziaria degli elementi di fatto su cui fondare un ragionamento probatorio, collegare il fatto che Mannino si raccomandasse con i Ros alla interlocuzione tra i Ros e Vito Ciancimino e alla scelta di sostituire Scotti col manniniano Nicola Mancino e con le dimissioni successive di Martelli”.

E ancora: “E’ ragionevole ritenere che i descritti comportanti di Mannino con Guazzelli e con i Ros siano stati determinati dalla volontà di trovare una protezione speciale, approfittando certamente della sua pregressa conoscenza con Subranni e dei privilegi che gli derivavano dal suo ruolo di potente politico”.

Il giudice parla di “elementi di sospetto, che non hanno quindi una grave e autonoma natura indiziaria” e che “se considerati come se possedessero tali connotati possono prestarsi ad interpretazioni facilmente ribaltabili e tutte analogamente plausibili e in fin dei conti prive di specifico valore dimostrativo processuale”.

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