Terme, marcia e maleducazione istituzionale. Palazzo d’Orleans non può essere un ring

SCIACCA. EDITORIALE DI FILIPPO CARDINALE

In questi giorni la questione “Terme” è ritornata alla ribalta. Una vicenda che somiglia al flusso migratorio degli uccelli che, a seconda della stagione, partono per zone più miti lasciando quelle dove si avvicina l’inverno. Un flusso di andata e ritorno nel mezzo del quale c’è una pausa di assenza.

Con le Terme vi è molta similitudine. A seconda del clima, di flussi migratori di volatili si parla. Alla loquacità subentra il silenzio. La caratterizzazione del clima “termale” risente di quello elettorale. Sarà pure una coincidenza, ma il divo Giulio nel coniare le sue memorabili frasi spinge a ricordare che a pensare male si fa peccato, ma spesso ci si azzecca.

Come scordare la tempistica della firma dell’atto concessorio dei beni termali della Regione al Comune di Sciacca (iniziata male, finita peggio) a pochi giorni dalle votazioni; come non pensare che la marcia su Palermo non risenta del doppio clima elettorale che ci vede impegnati il prossimo anno.

Ma non voglio entrare nel metodo della marcia, tra l’altro ne capisco poco essendo la mia passione sportiva orientata sulla bici (la mia è da corsa). Capisco la vicenda termale attraverso la testimonianza di quasi 500 articoli da me firmati e che si snodano lungo un arco temporale che parte dal dicembre 2005. Verba volant, scripta manent.

Ciò che ha catalizzato la mia attenzione scorre sul binario della postura istituzionale. Come la famiglia è il cardine per la trasmissione ai figli della buona creanza, così la politica lo è per la società civile. E’ vero che la politica attuale è l’esempio contrario del buon esempio da trasmettere, ma da persone che vivono la politica da decenni e che hanno ricoperto ruoli istituzionali importanti non è consentita sbavatura. Non ci si aspetta una steccata da un tenore di alto prestigio. Da lui, le nostre orecchie attendono di ricevere l’armonia dei suoni, lo svolgimento alla perfezione delle note di uno spartito.

Qualcosa, in questi giorni, è accaduto e non può passare inosservata poiché coinvolgono le istituzioni. Una in particolare, la più alta della nostra Sicilia: il Governo e, nel caso nostro, il Presidente. E’ vero che uno striscione conteneva un epiteto non proprio gentile con lui. L’aggravante è che quello striscione era sorretto anche dalle mani del nostro primo cittadino. Qui c’è una sbavatura. Ma chiodo non può scacciare chiodo perché tale pratica provoca quegli innesti che guastano e alterano il ruolo delle istituzioni.

La marcia di protesta a Palermo per “rinverdire” l’attenzione sulla questione, che si trascina da anni e porta appresso una interminabile sequela di errori che hanno annodato la vicenda delle Terme trasformandola in un ginepraio dal quale è difficile uscire, può trovare diversi punti discutibili, almeno dal punto di vista organizzativo, ma non può, certamente, essere l’occasione per provocare quelle steccate cui sopra ho fatto riferimento.

La reazione del Presidente della Regione ha tradito il suo vissuto politico, ha tradito anche quel profilo di uomo integerrimo che il tempo ha forgiato. La vicenda delle Terme non può salire su un ring nel quale i due pugili se le danno di santa ragione. Il ruolo istituzionale di chi è alla guida della massima istituzione governativa deve evitare la tentazione dello scontro pugilistico.

Se è vero che la questione delle Terme racchiude da anni una lunga sequela di errori, la cui matrice risiede in una classe burocratica regionale superficiale e, a volte, impreparata, essa stessa è accompagnata da una classe politica mancante di visione, di capacità di programmazione, di dare risposte. Insomma, di essere protagonista del destino di un territorio orientato al suo sviluppo.

La reazione del Presidente della Regione si snoda in due fasi. Una prima di risposta scomposta alla istituzione locale, una seconda negando di ricevere la medesima a Palazzo d’Orleans. Sono due sequele che deviano dalla sacralità delle istituzioni. Né vale il concetto di una reazione ad una azione anch’essa scomposta.

Un buon comandante deve necessariamente tenere saldi i nervi, con le mani sul timone. Altrimenti si perde la rotta. Sulla vicenda delle Terme, la somma degli errori impegna un pallottoliere grandissimo che si replica nel tempo. Né vale lo schema del ribaltamento retroattivo delle cause scatenanti gli errori. Un buon comandante non guarda la rotta lasciata a poppa, ma guarda la direzione della prua. E’ quella che conduce al porto.

Al Presidente della Regione è mancato un passaggio importante, quello del dialogo diretto con la città prospettando le coordinate tracciate per giungere in porto, pur non nascondendo le asperità di un mare tempestoso. Del resto, la città è vittima di promesse non mantenute da parte di chi, prima ancora del Presidente Musumeci, ha presentato due bandi che, puntualmente, hanno sortito l’effetto dell’indifferenza da parte degli operatori del settore interessati alla gestione delle strutture termali. Né può essere dimenticata l’azione criminosa di chi è stato artefice della chiusura sei anni fa. Questa è come una crocetta che si annoda al collo dei siciliani e di volta in volta cambia profilo, o colore.

Un buon comandante abbisogna anche di un vice per una azione sinergica in plancia di comando. L’assessore che ha competenza sulla vicenda termale è lo stesso autore che in tempi diversi e con Presidenti della Regione diversi non ha saputo dipanare la matassa. Anzi l’ha resa ancora più aggrovigliata.

So benissimo, e non intendo competere con Lei in conoscenza, Presidente, delle cose termali dal dicembre 2005. Sarebbe stato utile, caro Presidente, una sua visita a Sciacca, non per aprire il parco delle Terme per poi chiuderne i cancelli solo dopo qualche giorno, ma per illustrare alla città con trasparenza e completezza di informazioni la rotta che il sempre assessore mai eletto ha tracciato nel suo immaginario.

Il Presidente, mi pare, abbia puntato molto sulla capacità di navigazione dell’assessore all’Economia, ma non mi pare che la rotta sia quella giusta. Appare più come una nave che vira in continuazione, a volte su se stessa, a volte in direzione errata, mai solcando la rotta giusta.

Presidente, se avesse usato la stessa velocità con cui ha firmato il decreto di scioglimento del Consiglio comunale di Sciacca nel confrontarsi con la città sulle difficoltà della vicenda delle Terme e spiegarne le vie di uscita, in maniera chiara e anche dura, oggi avrebbe risparmiato l’usura di decine di scarpe da trekking, l’attenzione mediatica per una questione che non ha una storia dignitosa. Ma soprattutto, si sarebbe evitato di far salire la politica sul ring, soprattutto la salita sul medesimo della massima istituzione siciliana.

Vi è stato anche un silenzio verso la sua parte politica locale, quella parte che è vero che ha compiuto errori di strategia e di azione, ma che non ha trovato nel govenro di centrodestra quella spalla su cui sperava di poggiarsi. Una parte politica che appare ancora appannata dall’errore di contabilità in quella famosa seduta consiliare che partorì lo scioglimento del Consiglio. Una parte politica che non dà sensazione di essere ancorata al Governo regionale e appare vagare. Il motivo? Il solito silenzio palermitano.

Nel lungo sfogo del Presidente alla emittente saccense Rmk, egli  è stato chiaro nell’evidenziare che la marcia rappresentava una lesione dei rapporti tra l’istituzione governativa e quella locale. E qui si torna sul ring. Se l’inesperienza politica del sindaco attuale può considerarsi un’attenuante, le reazioni di Musumeci assumono il profilo dell’aggravante proprio per il suo lungo corso e per l’alto ruolo istituzionale che ricopre. Le istituzioni non sono mai ring personali, altrimenti si dà quell’immagine alla collettività di distorsione del compito della politica. E un politico di lungo corso come Lei non può perdere la bussola, altrimenti si scivola senza controllo nella “maleducazione istituzionale”.