Strage Borsellino, “Anomalie e zone d’ombra ma è stata la mafia”

Non ci sono dubbi che l’attentato al giudice Paolo Borsellino e alla sua scorta è di «paternità mafiosa», anche se ci sono «anomalie» come il coinvolgimento del Sisde e «zone d’ombra» come la scomparsa dell’agenda del magistrato. Lo scrive la Cassazione nelle motivazioni sulla conferma delle condanne per due boss – Madonia e Tutino – e due finti pentiti che hanno calunniato altri collaboratori e persone innocenti. Per gli ermellini, quanto emerso nel processo sulla trattativa Stato mafia – come stabilito in appello – è di “sostanziale neutralità” e non ci sono «nuovi scenari», nonostante gli «abnormi inquinamenti delle prove».

Ad avviso della Suprema Corte, in maniera condivisibile, i magistrati di merito hanno ritenuto che “i dati probatori relativi alle “zone d’ombra” possano al più condurre a ipotizzare la presenza di altri soggetti o di gruppi di potere (co)-interessati all’eliminazione di Paolo Borsellino, ma ciò non esclude il riconoscimento della “paternità mafiosa” dell’attentato di Via D’Amelio e della sua riconducibilità alla strategia stragistà deliberata da Cosa Nostra, prima di tutto come “risposta” all’esito del maxi processo». Tutto questo – rileva la Cassazione – «non fa certo venir meno la complessità finalistica di quella strategia, proiettata in una triplice dimensione: una finalità di vendetta contro il ‘nemico storicò di Cosa Nostra rimasto in vita dopo la strage di Capaci», una «finalità preventiva, volta a scongiurare il rischio che Paolo Borsellino potesse raggiungere i vertici delle nuove articolazioni giudiziarie promosse da Giovanni Falcone”; e una «finalità, infine, schiettamente destabilizzatrice” dell’attentato di Via D’Amelio volta a «mettere in ginocchio lo Stato» ma «sempre nella prospettiva di Cosa Nostra tesa a «fare la guerra per poi fare la pace».

Per questi motivi, il verdetto degli ‘ermellinì ha confermato il ragionamento e la ricostruzione della strage fatta dalla Corte di Assise d’appello nella sentenza emessa il 15 novembre 2019 nei confronti oltre che di Salvatore Madonia e Vittorio Tutino, capimandamento, anche dei finti pentiti Calogero Pulici e Francesco Andriotta.

Fonte La Sicilia