SIAMO DA SEMPRE “TERZO MONDO”, LO DICE LA STORIA. INTERESSANTE TRACCIATO STORICO SUL PERCHE’ DELLE NOSTRE ARRETRATEZZE VIARIE

Pubblichiamo un contributo dell’ingegnere Giuseppe Di Giovanna sulla storia atavica del nostro sistema viario e dell’esclusione di Sciacca e del territorio dalle infrastrutture viarie che avrebbero consentito uno sviluppo già 291 anni fa. L’ingegnere Di Giovanna, da diversi mesi, è impegnato su una ricerca storica, attraverso documenti, sul tema trattato. Una ricerca che parte dal periodo della scoperta dei banchi del corallo. Lo studio di Di Giovanna sta portando alla luce fatti evidenti che dimostrano, senza tema di smentita, che la nostra condizione di isolamento è un fatto voluto scientificamente, anzi, politicamente.

IL TRIANGOLO MALEDETTO di Giuseppe Di Giovanna

Il recente crollo dello storico ponte sul fiume Verdura, per chi ha voglia di ricordare un pò della nostra storia, é come il classico dente dolente su cui batte sempre la lingua. Il fatto è che la strada che percorre la costa meridionale della Sicilia è in realta una delle più antiche di tutta la storia della civiltà occidentale.

Percorsa già dai carri ai tempi della Magna Grecia, quando il passaggio per le Thermae Selininuntinae era una tappa obbligata del percorso che univa la fiorente Selinunte alle altre colonie della costa, la strada conservò ed anzi aumentò la sua importanza durante la dominazione romana, quando Aquas Labodes (il nome romano di quella che un giorno si chiamerà Sciacca) divenne la più importante “Statio Postalis” della Sicilia.

La strada tuttavia scomparve in periodo medioevale, probabilmente anche per il pericolo che le vie di comunicazioni terrestri costituivano per la possibile penetrazione da parte degli incursori saraceni. Una crescente importanza delle vie di comunicazione marittime fece tuttavia assurgere Xacca (questo il nome datole dagli arabi sotto cui prosperò) ad una diversa valenza Il suo immenso territorio, esteso dal fiume Belice al fiume Platani e la sua posizione sul mare le permisero, con l’ausilio della grande rilevanza politica assunta sotto la dominazione dei Normanni, di diventare uno dei più importanti Caricatori di Sicilia Il grano, coltivato nei vasti latifondi dei paesi dell’entroterra, veniva trasportato a Sciacca a dorso di mulo.

Il carretto era uno strumento inutile, l’assenza assoluta di strade e di ponti su fiumi e torrenti rendeva impossibile il viaggio ai mezzi con ruote. Lunghe carovane di muli carichi di grano, fra loro legati in fila e condotti da un solo uomo, percorrevano i desolati sentieri in direzione di Sciacca, dove il grano veniva conferito al Caricatore per poi essere stivato sulle navi alla fonda nella rada antistante la città, sprotetta dai venti di Scirocco e Libeccio e priva di porto.

Nonostante l’assenza di ogni struttura viaria e portuale Sciacca comunque prosperava. La sua posizione, sulla costa del mare africano, la poneva come interfaccia ideale fra il Regno del Mulo (l’entroterra) ed il Regno della Barca (il mare mediterraneo). Questa situazione di prosperità, sia pure con alterne vicende, continuò anche sotto il Regno Borbonico, sempre avaro di investimenti in infrastrutture, benché alcune illuminate iniziative cominciassero a far presagire una più moderna gestione del territorio. Fu così che il parlamento siciliano, nell’aprile del 1778, decise di trasformare in strade rotabili i percorsi delle corse postali, sino a quel momento assicurate a dorso di cavallo. Fra queste si trovava la importante corsa postale Palermo Licata, il cui percorso passava per Corleone e Sciacca per poi raggiungere, lungo la costa, Girgenti e Licata.

Il tratto finanziato per la trasformazione in rotabile era il più importante, quello da Palermo Sciacca. La inefficienza dello stato borbonico fece la sua parte e, al momento dell’Unità d’Italia, solo il tratto da Palermo a Corleone era stato realizzato. Il resto…, a dorso di mulo!! Sembra incredibile, ma la Palermo Sciacca è probabilmente la strada al mondo che ha richiesto più tempo per la sua realizzazione.

Dal momento del suo finanziamento bisognerà attendere 219 anni perchè finalmente la strada, sia pure su un diverso percorso, venisse inaugurata nel 1997. E che dire del tratto Sciacca Girgenti, divenuta nel frattempo Agrigento, in ricordo del passato splendore, per volontà di Mussolini?

Con l ‘avvento del Regno d’Italia una scellerata scelta, a livello centrale, di classificare come nazionali solamente le strade che avessero rilevanza per quelli che erano allora considerati come gli esclusivi fattori prioritari, ossia lo sfruttamento del bacino solfifero nella parte orientale della Sicilia e gli interessi industriali dei Florio nella parte occidentale, lasciò una immensa terra di nessuno nella parte centrale dell’Isola. Un enorme triangolo, con vertice superiore a Palermo e la base fra Castelvetrano e Girgenti, con al centro della base l’importante abitato di Sciacca, rimase del tutto abbandonato. La Sciacca Girgenti, classificata come strada provinciale, alla stregua della Sciacca Santa Margherita e della Sciacca Menfi, rimase a totale carico economico della provincia di Girgenti.

L’elevato grado di malgoverno e di corruzione (sono definizioni dell’epoca) della amministrazione provinciale di Girgenti fece il resto. Nel 1875 Sciacca, la “Città Degna”, era un’isola nell’isola, raggiungibile da ogni direzione solo a dorso di mulo o via mare, una volta la settimana se il tempo lo permetteva, e con il rischio di rimanervi confinati per diverse settimane durante le lunghe mareggiate invernali. Per l’imbarco e lo sbarco i passeggeri dovevano accomodarsi sulle larghe spalle di un marinaio perchè non esisteva neanche un pontile d’imbarco. Solo una legge del 1875, che previde il concorso statale del 30 per cento nelle strade provinciali, permise l’inizio dei lavori della Sciacca Girgenti. Il ponte sul Verdura, oggi crollato, fu una delle prime opere realizzate.

Le ferrovie rimasero solo un sogno lontano. Nel 1875 la rete ferroviaria siciliana era quasi del tutto realizzata, ma la Palermo Girgenti, invece di raggiungere Bivona con una diramazione per Sciacca, lungo il suo percorso più naturale e logico (Bivona e Sciacca erano le due città a capo di un distretto in provincia) si inerpicò per un percorso illogico e lunghissimo fino allo sperduto paesino di Lercara, il cui unico merito erano le miniere di zolfo. Un’altra ferrovia collegò Palermo con Marsala, passando per Castelvetrano e Mazzara, per permettere il traporto del vino dei Florio.

Per il triangolo maledetto rimase solo la promessa di ferrovie a scartamento ridotto, che arrivarono molto più tardi, addirittura negli anni venti del novecento, quando lo sviluppo dei territori interessati era già compromesso ed il tipo di soluzione adottata era già vecchia e superata. Il triangolo dimenticato continuò a rimanere senza un padre. Sembra un assurdo, ma la fine della vituperata dominazione borbonica segnò l’inizio del definitivo declino di Sciacca. Mentre il resto della Sicilia veniva dotato di ferrovie, strade e porti, in questa terra tutto rimase come cristallizzato.

Il regno del mulo era terminato per sempre, ma Sciacca non se ne accorse. Scomparso Saverio Friscia, che solo fra tutti pareva raccogliere le esigenze di un intero territorio, ed a cui non fu mai perdonata la vicinanza all’area anarchica bakuniana, la sua eredità di impegno non fu raccolta neanche dall’unico figlio di questa terra che ebbe il potere di agire. Francesco Crispi, che presto abbandonò i suoi ideali repubblicani e socialisti in nome di una “giacobina” fissazione dello stato unitario ad ogni costo, non si curò della sua Sicilia e della sua Ribera in particolare.

Non esitò a diventare monarchico (la repubblica ci divide, la monarchia ci unisce, diceva) e ad allearsi ai grandi poteri siciliani (da una parte i latifondisti e dall’altra i Florio, di cui divenne il legale), e non ebbe dubbi ad intervenire con cieca decisione dove altri (Cavour e Giolitti) si erano fermati. Stroncò con il sangue i Fasci Siciliani costituiti da contadini che chiedevano pacificamente la terra (strage di Caltavuturo) e sostituì, nelle sue promesse, la terra di Sicilia, che non poteva e non voleva loro dare, con la terra d’Africa dell’impero coloniale. La sconfitta di Dogali fu la fine di quelle promesse e della sua stessa carriera politica.

Anche nella vita privata sconfessò se stesso, facendo annullare (in maniera vergognosa) il suo matrimonio con Rosalie Montmasson, vera eroina patriottica e rivoluzionaria che lo aveva seguito, unica donna, nella spedizione dei Mille, per sposare la figlia di un grosso burocrate ex borbonico, più confacente ai nuovi ruoli che si era scelto. Fu certo grande patriota, ma al suo patriottismo sacrificò tutto ed in particolare sacrificò la sua terra. A lui dobbiamo se l’impostazione feudale del latifondo della Sicilia giunse indenne nel ventesimo secolo, fino al sacrificio di sangue di uomini come Accursio Miraglia.

Dopo Crispi vi è solo il nome di Giuseppe Licata, appassionato amante della sua terra di Sciacca, che si battè per la costruzione di un porto, riuscendo tuttavia ad ottenere solamente la realizzazione di un misero rifugio marittimo, del tutto inadeguato per le esigenze della marineria, realizzato nel 1901. Quel che è certo è che ben poco è cambiato da allora. Bisognava aspettare il crollo dello storico ponte sul Verdura per rendersi conto di questa realtà Il triangolo maledetto è rimasto tale e quale, il nostro territorio è rimasto nello stesso stato di isolamento di allora. Mancano le strade, le ferrovie sono solo il lontano ricordo di un trenino che sbuffava a passo d’uomo, che deragliava una volta al mese e che ci è stato tolto perchè era grottesco mantenerlo.

L’autostrada Castelvetrano Gela è un sogno irrealizzabile di cui non è serio neanche parlare. Il porto, più piccolo di quello originariamente voluto da Saverio Friscia, è del tutto inadatto ad un traffico commerciale, nonostante gli ampliamenti degli anni settanta del novecento. Il collegamento con il resto della Sicilia è affidato a pochissimi elementi critici il cui stato di manutenzione è prossimo al collasso. Basti pensare alle condizioni dei vari ponti sulla Sciacca Castelvetrano. O alle condizioni della stessa Sciacca Agrigento che passa addirittura per l’abitato di Porto Empedocle.

Che gusto amaro al pensiero che siamo riusciti a salvare il Tribunale di Sciacca solo perchè quella strada è un disastro! Sciacca rischia di ritornare nel suo beato isolamento dei tempi del Caricatore, “umbilicus mundi”, come a noi sciacchitani piace pensare della nostra terra Solo che il medioevo, nel resto del mondo, è finito da un pezzo!

I politici che si sono succeduti, dall’Unità d’Italia ad oggi, hanno sostituito il latifondo terriero con il latifondo elettorale, gestendo il territorio a mezzo dei loro “campieri” che ci hanno gestito allo stesso modo con cui i latifondisti gestivano i contadini. A loro discolpa solo il fatto che al popolo hanno dato tutto quello che il popolo ha loro chiesto. Del resto non sono mai mancati posti da imboscati e carnevali sfolgoranti (panem et circenses)!

E’ tutto quello che, per generazioni, abbiamo loro domandato. L’ingresso dell’Italia in Europa e la necessità di adattarci ai suoi parametri di crescita e sviluppo ci coglie di sorpresa come bimbi colti con le mani nella marmellata. A noi farebbero ancora comodo politici come quelli che abbiamo avuto ma, per contro, abbiamo un disperato bisogno di quello che nessuno ci ha mai dato, per il cinismo di scelte politiche scellerate o per la nostra stessa insipienza.

La comunicazione è ricchezza. La storia ci insegna che dove ci sono strade si crea immediatamente benessere. Nei deserti dell’Asia prosperarono città favolose solo perchè erano lo snodo viario che univa l’Oriente all’Occidente. Non possiamo sperare di raggiungere livelli di sviluppo europei senza vie di comunicazione veloci ed efficienti. Il tempo perduto è enorme e forse irrecuperabile, ma il futuro dei nostri figli dipende dalle scelte che oggi facciamo.

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