SCIACCA, TENTA IL SUICIDIO IN CARCERE: SALVATO DALLA POLIZIA PENITENZIARIA
Un detenuto straniero che si trova nel carcere di Sciacca, di nazionalità tunisina di circa 30 anni, ha tentato nella notte il suicidio in cella. L’intervento del compagno di cella e degli uomini della Polizia penitenziaria hanno consentito di salvargli la vita.
La notizia è stata diffusa da Lillo Navarra, segretario nazionale per la Sicilia del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria SAPPE. Il tunisino avrebbe tentato il suicidio perché ritiene “di essere ingiustamente detenuto per un reato non commesso”.
A Sciacca sono oggi detenuti 81 persone, il 50% delle quali straniere, mentre a livello regionale i detenuti sono complessivamente 6.310. Nell’intero anno 2017 in Sicilia si sono verificati nelle carceri 119 tentati suicidi di detenuti, sventati in tempo dalla Polizia Penitenziaria.
Donato Capece sollecita l’Amministrazione Penitenziaria a intervenire: “Quello di Sciacca è l’ennesimo grave evento critico che avviene in un carcere della Sicilia da parte di un detenuto straniero. E’ solamente grazie ai poliziotti penitenziari, gli eroi silenziosi del quotidiano a cui va il ringraziamento del SAPPE per quello che fanno ogni giorno, se il numero delle tragedie in carcere è fortunatamente contenuto. Ma è evidente a tutti che è necessario intervenire con urgenza per fronteggiare le costanti criticità penitenziarie. Il suicidio è spesso la causa più comune di morte nelle carceri”.
“Negli ultimi 20 anni le donne e gli uomini della Polizia Penitenziaria hanno sventato, nelle carceri del Paese, più di 18mila tentati suicidi ed impedito che quasi 133mila atti di autolesionismo potessero avere nefaste conseguenze”, sottolinea ancora Capece.
Da tempo il SAPPE denuncia “che la sicurezza interna delle carceri è stata annientata da provvedimenti scellerati come la vigilanza dinamica e il regime aperto, l’aver tolto le sentinelle della Polizia Penitenziaria di sorveglianza dalle mura di cinta delle carceri, la mancanza di personale, il mancato finanziamento per i servizi anti intrusione e anti scavalcamento”.
Lasciare le celle aperte più di 8 ore al giorno senza far fare nulla ai detenuti – ne lavorare, ne studiare, ne essere impegnati in una qualsiasi attività – è controproducente perché lascia i detenuti nell’apatia: non riconoscerlo vuol dire essere demagoghi ed ipocriti. La realtà è che sono state smantellate le politiche di sicurezza delle carceri preferendo una vigilanza dinamica e il regime penitenziario aperto, con detenuti fuori dalle celle per almeno 8 ore al giorno con controlli sporadici e occasionali, con detenuti di 25 anni che incomprensibilmente continuano a stare ristretti in carceri minorili”.