Sciacca, elezioni di primavera: la politica tra campo “largo” e “stretto”

SCIACCA.  EDITORIALE DI FILIPPO CARDINALE

Il mosto della politica ha iniziato a fermentare con la speranza che possa diventare vino, ma anche con la paura che possa trasformarsi in pessimo aceto. A cinque mesi dal traguardo elettorale di primavera per il rinnovo del consiglio comunale e l’elezione del nuovo sindaco, si susseguono le riunioni politiche.

Sembra, per lo più, una strategia di corteggiamento con cui il timido giovane tenta l’approccio alla conquista amorosa. Piccoli passi, gesti, timidi sguardi, dolci baci e languide carezze. Non c’è un fronte, di qualsiasi tonalità politica, che non sia in movimento per approcciare un innamoramento che possa condurre al matrimonio elettorale. C’è chi immagina un “campo largo”, c’è che chi predica che è meglio  andar in solitudine che in cattiva compagnia, tracciando sulla lavagna una linea verticale che separa i buoni dai cattivi. Un profilo da dispensatore di patenti per posizionarsi nel livello superiore della rappresentazione dantesca.

La città vive un tempo tra i più difficili della sua storia postbellica. Un tempo nel quale fanno da ingredienti principali un degrado marcato, una difficoltà sociale preoccupante, una macchina comunale il cui controllo è ardito. Forse è più corretto dire che è senza controllo. La città non è solo in una fase di stallo, magari lo fosse! E’ in una fase di preoccupante retrocessione in termini di qualità della vita, di servizi offerti (sono inesistenti), di programmazione, di parco progetti capaci di immettere nel tessuto economico e sociale almeno la speranza di un futuro diverso dal tempo contemporaneo. Una città che ha perduto la sua centralità e la sua capacità di essere trattore per il comprensorio. Tutti i settori vivono una profonda crisi che si è ulteriormente aggravata per l’emergenza sanitaria.

La politica, tuttavia, viaggia su un ordine temporale diverso. In tale diversità c’è chi immagina di essere migliore degli altri e di avere le soluzioni da far uscire dal cilindro magico. C’è chi è in cerca di una strategia che cancelli il quinquennio ultimo per presentarsi sotto diverse spoglie.

C’è anche chi immagina di aver facilità di vittoria dopo il risultato dell’amministrazione attuale. Una partita che reputa agile e che punta sulla sommatoria di liste, come se Favara non avesse reso palese l’inutilità di tale pensiero.

E’ come se si volesse nascondere dietro un dito l’ottimismo del centrodestra e dei moderati a chiudere la partita portando a casa i tre punti. Ed è in tale area che emerge una visione datata, obsoleta, fuori dalla realtà. E’ in questa area che si rende necessario un bagno di umiltà, abbassando il livello di protagonismo, di autoreferenzialità. E’ in questa area che si sbaglia immaginando di usare la bilancia per pesare un passato che non c’è più.

La città ha bisogno di una sorta di Piano Marshall, una visione proiettata almeno nei prossimi 15 anni. Una visione che consente, con costanza di prosecuzione con le successive amministrazioni, di rivoltare la città come un calzino. Se non si comprende questo, andremo ancora avanti con la superficialità, l’approssimazione, con amministrazioni che a stento riescono a (mal) gestire l’ordinaria quotidianità. Saremo, ancora, un paesino con meno di 40 mila abitanti che ha tante “potenzialità”, che tali restano.

C’è bisogno di “un campo largo”, ma soprattutto il buon senso del buon padre di famiglia. Cosa, in verità, che attualmente non si riscontra. La politica non mette neanche nel conto la devastazione psicologica che sta emergendo con la pandemia e che ha fatto dominare l’irrazionalità dei comportamenti. La politica non mette in conto neanche il forte astensionismo: oltre la metà degli elettori non va a votare.