RELAZIONE DNA: LA MAFIA AGRIGENTINA AL VERTICE DI COSA NOSTRA

Presentata a Roma la relazione annuale della Direzione Nazionale Antimafia, riguardante le attività svolte dal Procuratore nazionale antimafia e dalla Direzione nazionale antimafia e le dinamiche e le strategie della criminalità organizzata di tipo mafioso nel periodo dall’1° luglio 2011 al 30 giugno 2012.

Nel documento la mafia agrigentina viene descritta come un’organizzazione criminale che negli ultimi anni ha conquistato un posto di grande rilievo, sia in ambito regionale, che nel quadro dei rapporti con gli apparati mafiosi negli Stati Uniti e in Canada. L’operazione “Nuova cupola” che ha disegnato la nuova mappa dei mandamenti di Cosa nostra in provincia di Agrigento ha permesso di accertare come le cosche siano ancora oggi saldamente radicate nel territorio.

Secondo la relazione della Direzione nazionale antimafia “Cosa Nostra agrigentina può definirsi come una delle organizzazioni più solide nel contesto delle strutture criminali di tipo mafioso siciliane”.

Principale fonte di sostentamento rimane quella degli appalti pubblici, utilizzando molto spesso prestanome di persone incensurate o insospettabili, continuando così a partecipare a gare d’appalto anche per la realizzazione di grosse opere. La mafia agrigentina si sarebbe, quindi, adeguata, sia sul piano delle strategie operative, sia su quello organizzativo, alla trasformazione e all’evoluzione delle regole del mercato.

Una parte della relazione viene dedicata anche ai nuovi assetti delle famiglie mafiose agrigentine dopo gli arresti dei capi mafia Giuseppe Falsone e Gerlandino Messina. Tra gli episodi che preoccupano due omicidi avvenuti con metodi tipicamente mafiosi a Palma di Montechiaro. Il 26 novembre del 2011 un commando uccide mentre rientrava a casa Calogero Burgio; il 26 gennaio 2012, invece, sempre a Palma di Montechiaro, in contrada Ciccobriglio, sotto un cavalcavia vengono rinvenuti i cadaveri carbonizzati di Giuseppe Condello e Vincenzo Priolo, crivellati con diversi colpi d’arma da fuoco.

QUESTO IL TESTO INTEGRALE DELLA RELAZIONE DELLA DNA 1° LUGLIO 2011 al 30 GIUGNO 2012

Ad Agrigento le attività investigative e gli esiti giudiziari registrati nel periodo di riferimento indicano che sono del tutto immutate le logiche e le dinamiche operative dell’associazione Cosa nostra, confermando inoltre che la sua presenza nel territorio agrigentino è sempre massiccia ed invasiva. Anche in detto territorio tale presenza si manifesta attraverso la gestione monopolistica delle attività criminali tipiche dell’associazione, tutte finalizzate all’accumulo della ricchezza (pur modesta nelle aree di riferimento) ed al controllo del territorio.

Le estorsioni nei confronti di operatori economici e commerciali e la sistematica pratica della occupazione imprenditoriale in tutti i settori delle opere costituiscono ancora il sistema più diretto e remunerativo per garantire ai coassociati ed all’intera organizzazione il raggiungimento degli scopi criminali tipici.

La struttura “ordinamentale” dell’organizzazione è rimasta immutata in tutto il territorio della provincia di Agrigento, che ancora oggi risulta diviso in mandamenti, a loro volta suddivisi in articolazioni territoriali composte dalle singole famiglie generalmente aventi sede in ciascun paese. Su tale argomento il collaboratore di giustizia Maurizio Di Gati (le cui propalazioni risalgono al 2006) ha precisato che l’assetto e la composizione dei mandamenti della provincia sono mutate a seguito degli arresti in flagranza operati il 14 luglio 2002, dei capi mandamento riuniti per l’elezione dello stesso Di Gati a capo della provincia (cd. operazione Cupola).

In quanto dopo gli arresti la provincia venne organizzata e diretta da Giuseppe Falsone di recente arrestato in Francia dopo un non breve periodo di latitanza.

Prima degli arresti di cui alla c.d. operazione Cupola i mandamenti dell’ agrigentino erano nove ed erano:

– mandamento di Casteltermini comprendente i centri di Casteltermini, San Biagio Platani, Cammarata, San Giovanni Gemini;

– mandamento di Santa Elisabetta comprendente i centri di Aragona, Santa Elisabetta, Sant’Angelo Muxaro, Raffadali e Joppolo Giancaxio;

– mandamento di Sambuca di Sicilia comprendente le famiglie di Sambuca di Sicilia, Montevago, Santa Margherita Belice, Menfi, Caltabellotta e Lucca Sicula;

– mandamento a Burgio con “giurisdizione” anche su Ribera, Villafranca Sicula, Montallegro e Cattolica Eraclea; Sciacca era mandamento a sé ed il referente locale per Cosa nostra era Carmelo Bono; acquisizioni successive (le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Rizzuto Giuseppe), hanno fatto emergere come il mandamento di Sciacca abbia ora il proprio epicentro in Sambuca di Sicilia, senza però mutamenti della composizione interna;

– mandamento di Siculiana comprendente le famiglie di Siculiana, Porto Empedocle, Realmonte, Agrigento città e le borgate di Giardina Gallotti e Fontanelle;

– mandamento di Favara comprendente le famiglie di Favara, Comitini, Racalmuto, Grotte e Naro;

– zona della Quisquina il mandamento fa capo a S. Stefano Quisquina e comprende Alessandria della Rocca, Bivona e Cianciana;

– mandamento di Canicattì comprendente Canicattì, Campobello di Licata, Castrofilippo, Ravanusa e Licata;

– Palma di Montechiaro e Camastra sono ancora oggi retti da esponenti della Stidda rispetto ai quali Cosa nostra ha fatto più tentativi di incremento del proprio potere senza però riuscirvi.

Dopo l’operazione cd. Cupola le aree geografiche sono in parte mutate per volere del nuovo capo della provincia Giuseppe Falsone. Il mandamento di Siculiana è stato sostituito da quello di Porto Empedocle poiché il capo mandamento era divenuto Gerlandino Messina il quale, oltre ad essere vice rappresentante provinciale, era stato designato anche come capo della famiglia di Porto Empedocle.

Le famiglie una volta facenti parte del mandamento di Siculiana sono transitate tutte in quello di Porto Empedocle ad eccezione della famiglia di Agrigento. La città di Agrigento è divenuta mandamento a sé stante in ragione della presa di potere di Calogero Lombardozzi che Falsone nominò anche quale consigliere di Provincia. Risulta ancora la creazione di un nuovo mandamento costituito dalle famiglie di Racalmuto, Grotte e Comitini all’epoca capeggiato da Di Gati che in tal modo era stato “risarcito” per il fatto di avere rinunciato alla pretesa di rimanere capo della provincia agrigentina in favore del Falsone.

A seguito dell’arresto del Di Gati e della sua decisione di collaborare con la giustizia non è dato sapere se il mandamento sia stato mantenuto con correlativa nomina di un nuovo reggente, ovvero se tali centri siano stati riassorbiti dal mandamento di Favara. Quanto alla struttura mafiosa del paese di Favara, occorre evidenziare che presenta talune peculiarità che la rendono diversa rispetto alle altre famiglie mafiose dell’agrigentino. Invero sempre Favara ha avuto la peculiarità dell’esistenza, accanto alla locale famiglia mafiosa Cosa nostra, di singoli aggregati composti da soggetti di varia estrazione (in genere non formalmente inseriti in Cosa nostra pur se con qualche eccezione). Sulla base delle acquisizioni provenienti da dichiarazioni di collaboratori di giustizia degli anni novanta e delle indagini di P.G. tali aggregati di persone erano conosciuti come “paracchi”.

Il Di Gati, che ben conosce la situazione di Favara dove era supportato da alcuni uomini d’onore a lui strettamente legati (tanto da trascorrervi parte della sua latitanza), ha definito queste aggregazioni col termine di “famigliedde”. Quanto poi alle altre singole famiglie mafiose della provincia, premesso che dopo il sanguinoso scontro degli anni novanta con le organizzazioni mafiose emergenti (cosiddette stidde) Cosa nostra ha ormai ripreso il controllo delle attività delittuose su quasi tutto il territorio della provincia di Agrigento, le indagini svolte hanno consentito di verificare come frange della stidda ancora esistenti o comunque piccole organizzazioni criminali, siano dedite al traffico di stupefacenti ed alla commissione di rapine che vengono tollerate dall’ organizzazione cosa nostra e svolte del tutto autonomamente dalla stessa.

Sul fronte del contrasto giudiziario al fenomeno, come sopra descritto, si devono registrare in particolare due eventi: l’arresto dei due maggiori latitanti della provincia Giuseppe Falsone e Gerlandino Messina, rispettivamente in data 25 giugno 2010 e 23 ottobre 2010. Il primo è stato catturato dalla polizia di Stato all’estero, nella città di Marsiglia ed il secondo dai Carabinieri nel paese di Favara. Lo sviluppo successivo delle attività investigative ha fatto emergere lo spostamento dell’asse di comando dell’intera compagine provinciale della mafia agrigentina, su altri soggetti in via di dentificazione.

Il fatto che a tali importanti catture non sia seguito alcun fatto eclatante e dunque certamente non si è aperta una guerra di successione, rende plausibile l’ipotesi che personaggi allo stato ignoti abbiano assunto ruoli di vertice all’interno della Cosa nostra agrigentina in sostituzione dei due latitanti arrestati.

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