PROCESSO MAROTTA, ASCOLTATA LA DONNA INTESTATARIA DELLE SIM UTILIZZATE PER COMUNICARE CON L’EX BOSS FALSONE
L’udienza di ieri, relativa al processo col rito ordinario scaturito dall’operazione “Maginot”, in cui è imputato di associazione mafiosa l’imprenditore riberese Carmelo Marotta, titolare della Edilmar, si è caratterizzata per la escussione dei testi del pubblico ministero della Procura antimafia di Palermo, Giuseppe Fici.
E’ stata ascoltata Maria Grazia Barbera, intestataria delle Sim telefoniche con numeri utilizzate per comunicazioni con l’ex super latitante Giovanni Falsone. Ieri, Maria Grazia Barbera, imprenditrice agricola di Palermo con interessi economici a Sciacca, ha chiarito di conoscere Carmelo Marotta solo perché ha acquistato dei prodotti edili utilizzati per la realizzazione dei vigneti nella sua azienda saccense. Ha mostrato e messo a disposizione del collegio giudicante e delle parti alcune fatture rilasciate dalla Edilmar. La maggior parte delle fatture è di poche decine di euro. Per il pagamento delle quali ha provveduto in contanti (fatture di 20/30 euro). Per una fattura di 600 euro, la Barbera ha detto di aver pagato con assegno e consegnato il documento di identità all’impiegato della ditta per farne fotocopia. Inoltre ha spiegato si forniva dei prodotti edili già ai tempi in cui l’attività rilevata dal Marotta era di proprietà di Giuseppe Piazza.La Barbera ha anche detto che non ha mai acquistato schede telefoniche a Sciacca e con i numeri che risultano utilizzati da Falsone.
Poi, è stata la volta dei due ispettori della squadra mobile di Palermo che, insieme ad altri colleghi, hanno partecipato alla perquisizione del 26 giugno 2010 dell’abitazione (Ribera) e dell’ufficio del Marotta nella sede dell’Edilmar di Sciacca. I due ispettori hanno raccontato la fase della perquisizione dell’ufficio di Carmelo Marotta alla Edilmar di Sciacca, avvenuta sempre con la presenza dello stesso.
Le pen drive controllate sono state 4-5. Ma una soltanto è stata sottoposta a sequestro perché secondo i due ispettori “contenevano dati riconducibili alla latitanza di Falsone”. Le altre sono state riconsegnate a Marotta perché “contenevano solo ed esclusivamente dati relativi all’attività commerciale dell’Edilmar”.
L’operazione “Maginot” ha coinvolto altri imputati che sono stati processati col rito ordinario a Palermo. Queste le condanne inflitte dal Gup del Tribunale di Palermo Lorenzo Jannelli:
La pena più pesante è stata inflitta proprio al boss campobellese Giuseppe Falsone, condannato a 18 anni di reclusione (l’accusa ne aveva chiesti 20). Poi:
8 anni e 8 mesi Salvatore Morreale, di Favara, 42 anni, e Antonino Pirrera, 59 anni, di Favara;
8 anni di reclusione sono stati inflitti a Carmelo Cacciatore, 47 anni, di Agrigento e Francesco Caramazza, 38 anni, di Agrigento;
6 anni di carcere per Calogero Pirrera, 73 anni, di Favara e Liborio Parello, 41 anni, di Agrigento;
2 anni e 8 mesi di reclusione per Giuseppe Maurello, 42 anni, di Lucca Sicula e Antonino Perricone, 41 anni, di Villafranza Sicula. Questi sono stati assolti dall’accusa di estorsione (Antonino Perricone estorsione impresa Coci; Giuseppe Maurello tenmtata estorsione impresa Infrastrutture). Inoltre la Cassazione ha annullato il regime di custodia cautelare.
E’ stato assolto Giovanni Vinti, 42 anni, di Ribera (10 anni la richiesta del Pm).
L’inchiesta “Maginot” condotta dalla Squadra mobile di Agrigento, con il coordinamento della Dda di Palermo, ha consentito di individuare i “picciotti” e i “capi famiglia” al servizio di Falsone, che costoro avevano assunto nel periodo di latitanza del capomafia a Parigi.