Pm ricostruisce in aula storia di Matteo Messina Denaro
CALTANISSETTA. «E’ solo sul finire degli anni Novanta che cominciano a coagularsi elementi nei confronti di Francesco Messina Denaro, che fino a quel momento, dal punto di vista giudiziario, era quasi uno sconosciuto». L’ha detto il pm Gabriele Paci nel corso della requisitoria per il processo a Matteo Messina Denaro, accusato di essere uno dei mandanti degli attentati di Capaci e Via D’Amelio, che si celebra davanti alla Corte d’assise di Caltanissetta.
«E’ attraverso le dichiarazioni dei collaboratori – ha continuato Paci – che si arriva finalmente a delineare lo spessore criminale di Francesco Messina Denaro. Balduccio Di Maggio è il primo fra tutti a indicarlo come capo della provincia di Trapani. Di Maggio disse che padre e figlio furono nell’89, rispettivamente mandante ed esecutore, dell’omicidio di quattro persone nelle campagne di Partinico. Per questo delitto furono condannati all’ergastolo. Questo è l’unico omicidio, tra quelli conosciuti, in cui partecipano insieme padre e figlio ed è una sorta di passaggio di testimone. In pochi mesi la figura di Francesco Messina Denaro evaporerà».
«Anche Ciro Vara – ha aggiunto Paci – indica con certezza Francesco Messina Denaro come capo mandamento di Castelvetrano e capo della provincia di Trapani, e lo stesso Giovanni Brusca dice che Toto Riina stravedeva per Francesco Messina Denaro».
Ricostruendo la carriera del latitante, il pm Paci ha ricorato che «anche Matteo Messina Denaro partecipa alle barbarie cui fu sottoposto il piccolo Giuseppe Di Matteo, rapito e tenuto prigioniero per tre anni per poi ucciso e sciolto nell’acido, autorizzando che il bambino, nel corso della lunga prigionia, resti per tre occasioni ristretto in un immobile vicino Castellamare e in uno vicino Custonaci».
«Giuseppe Di Matteo, figlio del mafioso Santino – ha continuato Paci – fu sequestrato per tentare di bloccare la collaborazione del padre con la giustizia. Matteo Messina Denaro oltre a organizzare e deliberare il sequestro mette a disposizione, nel trapanese, i covi in cui il piccolo Di Matteo viene tenuto segregato». Dopo 779 giorni di prigionia il piccolo di Matteo, l’11 gennaio del 1996, venne strangolato e sciolto nell’acido.