PERCHÉ LE TERME NON RIAPRIRANNO NEPPURE IL PROSSIMO ANNO

EDITORIALE

 

Non si può dire che questo giornale non abbia fatto in questi anni informazione sulla vicenda delle Terme della nostra Città, così come non si può dire, anche a costo di dispiacere qualcuno, che sulle Terme non si sia fatta un’operazione verità, sulle cause e sulle responsabilità dell’attuale fallimento. In questo senso vogliamo continuare e spiegare perché anche il prossimo anno non si vedrà nessuna novità, fermo restando che saremo ben lieti di essere smentiti dai fatti. La vicenda delle Terme di Sciacca, come quella delle Terme di Acireale, non è più ormai da molto tempo un fatto politico, cioè un fatto connesso alla volontà di Sindaci, Assessori regionali, Presidente della Regione, dirigenti degli assessorati o addirittura del Parlamento regionale di volere le Terme a qualunque costo (in termini finanziari).

E’ un fatto economico. Soltanto economico. E rispetto al fatto economico tutti i soggetti che abbiamo enunciato non contano un bel niente. Ma quello di fare delle Terme di Sciacca un fatto economico e non più politico, è stata nel 2006 la scelta di un Assessore regionale che voleva passare alla storia (e c’è passato ma non per quello che lui immaginava) ma che ha visto una convergenza plebiscitaria (o quasi). Perché era evidente che da quel momento le Terme avrebbero dovuto reggersi soltanto con la propria attività; detto più semplicemente i ricavi avrebbero dovuto quantomeno pareggiare i costi. Ma l’organizzazione strutturale complessiva non era pronta per questa nuova impostazione, essendo stata programmata come un ente pubblico, cioè come un ente al quale le finanze regionali contribuivano. Basti pensare che la quota regionale per legge veniva classificata tra le entrate. Si sarebbe dovuto procedere con un piano industriale per spiegare come la società avrebbe dovuto reggersi.

Ma in realtà, ci fosse o meno un piano industriale, nel rapporto fra costi e ricavi i primi aumentavano a dismisura ed i secondi si riducevano, fino al punto da determinare una decina di milioni di perdite complessivamente accumulate fino allo scorso anno. Il problema economico ormai è quindi il motivo trainante. Mai e poi mai la Regione potrebbe ripianare i debiti della società, perché quei soldi non li ha, ma anche se li avesse non potrebbe darli per il divieto comunitario; mai e poi mai potrebbe tornare ad una gestione pubblica con la vecchia azienda, perché questa non ha più i beni conferiti nel capitale sociale della società (e comunque la Regione non potrebbe erogare milioni di contributi all’anno per le spese di funzionamento).

Ma la scelta politica, dopo la costituzione della società, in realtà è stata coscientemente perpetuata, ed è stata quella di continuare in una gestione che già fin dal 2006 si era dimostrata fallimentare sul piano economico (nonostante almeno per un paio di anni fosse continuata una irregolare erogazione di trasferimenti in favore della società), ed anche dal 2009 – anno della scelta legislativa di liquidazione della società – si è continuato nella gestione politica. Insomma la gestione politica ha risposto all’esigenza di continuare come prima, indipendentemente dal rapporto tra costi e ricavi. Oggi si parla dei “minibandi”.

L’ennesima follia. Ma non soltanto perché, come qualcuno ha detto, ci sarebbe lo spezzatino dell’offerta turistico-termale (comunque di per sé negativa), ma perché con questo tipo di bandi, che nella confusione totale che regna si dice dovrebbero prevedere un solo anno o al massimo due di gestione in attesa del bando generale per l’intero complesso, gli eventuali imprenditori privilegerebbero soltanto l’offerta ricettiva del Grand Hotel delle Terme (che ha appena qualche reparto di cura annesso) e magari lo stabilimento delle stufe, tralasciando lo storico stabilimento termale e tutti gli altri complessi. La manutenzione degli stabilimenti, delle piscine e di altre strutture richiede, infatti, investimento che mai potrebbero essere ammortizzati con una gestione di due anni. E quindi le Terme? Ed, infine, dovrebbero mettersi tutti d’accordo, perché tra usufrutti, proprietà, concessioni ed accreditamenti nessuno ancora è arrivato al bandolo della matassa. Ma, a questo punto, non sarebbe stato doveroso richiedere il fallimento della società per sottrarre alla politica e lasciare alla magistratura le inevitabili soluzioni anche di frazionamento?

Siamo ormai quasi al gennaio 2016. Ma anche se venissero a Sciacca Crocetta, Renzi e Mattarella (magari tutti insieme) rispetto alle questioni giuridiche ed economiche in cui la classe politica e burocratica regionale ha cacciato le Terme, cosa potrebbero fare? In conclusione si ha la sensazione che tutti sentano nei confronti delle Terme una sorta di obbligazione di mezzo e non di risultato: io l’ho detto, io l’ho scritto, io ho telefonato, io ho riunito i lavoratori, io ho convocato la conferenza, io sono stato in Commissione, e chi più ne ha più ne metta. Apriranno nel 2006? Speriamo di essere smentiti.

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