OMICIDIO DEL PICCOLO LORIS, LA MADRE “LUCIDA E COSCIENTE”

Nessuna attenuante per la madre del piccolo Loris Andrea Stival, Veronica Panarello: la sua condotta è stata «lucida e cosciente» e per questo è legittima, sottolinea la Cassazione, la condanna a 30 anni di reclusione per l’omicidio del figlioletto, avvenuto il 29 novembre 2014 a Santa Croce Camerina, nel Ragusano.

La Suprema Corte spiega perché il 21 novembre scorso dichiarò inammissibile il ricorso dell’imputata contro il verdetto emesso dalla Corte d’assise d’appello di Catania nel luglio 2018: nessuna «amnesia dissociativa», scrivono i giudici della Corte di Cassazione, ma «la condotta posta in essere dall’imputata subito dopo l’omicidio del figlio risulta lucidamente finalizzata al depistaggio delle indagini che sarebbero inevitabilmente seguite una volta scoperta la morte del bambino, con la immediata – si legge ancora – risoluzione di disfarsi del cadavere del figlio buttandolo in un canale in una contrada periferica, con la simulazione di una violenza sessuale ai danni del piccolo, con il disfacimento degli oggetti adoperati per commettere il delitto o comunque a esso riconducibili».

Veronica Panarello, secondo la Cassazione, «non versava in stato confusionale, come la stessa ha cercato di far credere, ma al contrario era perfettamente cosciente e orientata nell’attività di eliminazione delle tracce del commesso reato e di depistaggio delle indagini». Regge in toto, anche nelle motivazioni, la sentenza emessa in primo grado dal giudice per l’udienza preliminare, Andrea Reale, ripresa anche in Appello. Il gup che aveva condannato la donna, con rito abbreviato, a 30 anni di carcere, aveva definito «deplorevole» la condotta processuale della Panarello, «reiteratamente menzognera, calunniosa, manipolatrice»; aveva argomentato che la definizione di «lucidissima assassina, all’esito del processo, appare persino benevola perché oltre alla evidenza della piena capacità di intendere e di volere dell’imputata dal momento del fatto, questo giudice ritiene di potere evidenziare la gravità d’animo con la quale la donna, senza alcuna pietà e senza un benché minimo pentimento, neanche dopo avere commesso il più innaturale dei crimini, ha occultato il cadavere del figlio».