NO: benedetto monosillabo. Marisa non sarà l’ultima della infame lista

DI BIA CUSUMANO

Uno sparo, un altro, uno ancora. Un fiotto di sangue per ogni ferita che strazia il corpo, finché il respiro si fa rantolo, il sorriso si spegne, la vita fluisce via ma il sangue resta ad imbrattare il corpo, gli abiti, i capelli, tutto intorno a te. Il sangue resta impresso nella mente insieme ai colpi di fucile. Così muore Marisa. Giovane donna, madre, professionista, bella e piena di sogni, con il sorriso dolce e straziato sulle labbra. Eppure nelle mie orecchie, da quando ho appreso la notizia agghiacciante, piuttosto che quegli spari feroci, sento l’eco delle sue risa spensierate mentre in macchina guida con amiche e ascolta musica, canticchiando, verso un futuro senza ombre né ossessioni.

Così muore un’altra donna tra le mani di chi prima compagno innamorato poi è divenuto un uomo con comportamenti ossessivi, poi uno stalker, infine un carnefice. Un mostro senza appello. Di appelli giudiziari questa vicenda non potrà averne. Perché l’ex compagno di Marisa si è tolto la vita. Ha chiuso il cerchio di orrore così. Due morti folli di due giovani perché l’amore tossico, morboso, patologico si è insinuato nella vita di ogni giorno. L’amore che dovrebbe essere cura, presenza, conforto. L’amore che dovrebbe essere rispetto, libertà nella comprensione reciproca è divenuto un Caronte traghettatore verso un inferno di umiliazioni, vendette, ripicche, ossessioni, pedinamenti, telefonate continue, urla, querele, denunce, incontri per chiarirsi senza possibilità alcuna di riuscirci. L’amore è divenuto morte.

Mi fermo a pensare da donna, madre, docente, scrittrice. Guardo e riguardo le foto di Marisa e in lei vedo i volti e le vite troncate di migliaia di altre donne umiliate, calpestate, violentate, perseguitate, torturate, uccise. La casistica è così ampia che paralizza. La tipologia con cui queste donne, alcune ragazzine, alcune mie coetanee, altre più avanti negli anni, sono state uccise è così variegata e complessa che la realtà di gran lunga supera qualsiasi pellicola dell’horror. Rivedo in Marisa, tutte le altre: donne soffocate, bruciate, sfregiate dall’acido, fatte a pezzi con asce, gettate in dirupi, messe dentro sacchi della immondizia, accoltellate barbaramente, fucilate, seppellite sotto tumuli di terra, occultate in garage, in macchine, in soffitte.

Donne a cui il diritto sacrosanto di vivere è stato negato per aver pronunciato un monosillabo: NO.

NO ad essere proprietà privata, oggetto di possesso. NO a sottostare a diktat svilenti: il rossetto è troppo rosso, quel bacio all’amico non era necessario, la minigonna è troppo corta, il costume è troppo sgambato, la casa è troppo poco ordinata, i figli sono un dovere a carico e pertinenza esclusiva delle madri. Troppa smania di apparire, troppe luci di riflettori addosso, troppa ansia spasmodica di carriera. Quel like si deve evitare, quella emoticon in chat è irrispettosa, quel bicchiere di vino è eccessivo, quelle trasparenze negli abiti sono fuori luogo, quelle sigarette non sono da “signora”, le gambe accavallate in quel modo sono provocanti. Si esce solo con il partner, i viaggi non si fanno da sola.

Un elenco infinito di chissà quante altre frasi che castrano, colpevolizzano, moncano la libertà. Prima di morire fisicamente, tutte queste donne chissà quante volte sono morte a piccoli sorsi di fiele, ogni giorno. Chissà quante lacrime silenziose, quanti schiaffi accennati o presi, quante urla e minacce, quanti diritti negati, quanto amore malato. Non si può morire se un amore finisce. Non si può morire anche se finisce in malo modo.  Non si può morire perché si è  rivendicato il diritto di essere persone e non oggetti, persone, non merce. Non si può morire perché libere di pensare, di scegliere, di rifiutarsi a compiere gesti che non si desiderano, di pretendere di non avere catene e guinzagli.

Invece ancora oggi per quel benedetto e maledetto monosillabo della lingua italiana, le donne muoiono come fossero agnelli sacrificali sull’altare della sete di onnipotenza maschile. Un uomo che ha perso i suoi connotati umani, si è brutalizzato, diventando belva che morde, azzanna, massacra. Un uomo che è così incredibilmente fragile da non sopportare quel NO. Una onta infamante per lui, maschio, forte, predatore, padrone del proprio destino e di tutte le sue “cose”. E così la sua donna è COSA SUA.

Un uomo che pretende di avere il diritto di vita e morte, di avere arbitrio pieno sulla dignità e libertà della propria donna come fosse il Dio dell’Antico Testamento che non tollera nessun rifiuto, nessun diniego, nessun tradimento ad un patto di vita che si tramuta in morte se l’altro disobbedisce. E quel monosillabo, quel NO, che è onta e lettera scarlatta per molti uomini carnefici, è adesso medaglia al petto di altrettante donne che hanno avuto la forza e il coraggio di pronunciarlo fino alla fine, fino alla morte. Quel NO adesso è libertà piena ma vita tranciata. Cerco risposte in un mondo maschile sempre più insicuro, frustrato, rabbioso, incapace di reggere il dialogo, il confronto, di accettare il mistero insondabile del mondo femminile, quella diversità che si declina in scelte libere e consapevoli anche se apparentemente sovversive del mondo precostituito, di abitudini consolidate, di comportamenti arcaici e ripetuti nelle generazioni. La donna che china la testa, la donna che sta con gli occhi bassi e un passo sempre dietro il suo uomo. La donna che mette al mondo e alleva figli. La donna che si alza all’ alba perché prima di essere donna è madre. Prima di essere professionista è moglie. Prima di essere una persona è mezzo e strumento di ordine, agio e benessere per tutti. Poi forse, viene lei. Ma quando ad un certo punto il filo si spezza e satura di sogni inespressi, di desideri negati, di bisogni non soddisfatti, di diritti negati, osa dire No, allora scatta la punizione, la gogna, l’annientamento. Allora diventa non solo roba inerte che può essere presa e gettata via ma anche tolta di mezzo nelle maniere più disparate e feroci.

Il NO nel 2023 è ancora colpa. Il basta è colpa. Il non ti amo più è bestemmia. E le colpe vanno punite, espiate, pagate. Le bestemmie purificate a colpi di fucile o di accetta. Cerco risposte che non trovo perché vedo uomini sempre più intimoriti e incapaci di sopportare la fine di una relazione, il no a pretese aberranti, il basta a ricatti e sensi di colpa. Torna Marisa, il suo viaggio in macchina con amiche, quella canzone felice emessa della stazione radio, il suo sorriso allegro e complice in una andata senza più ritorno. Cerco risposte in seno a modelli educativi franti, capovolti, divelti.

Cerco risposte in seno a famiglie pieni di buchi neri. Famiglie fantasma, genitori assenti, troppo spesso distratti da tutto, forse niente. Cerco risposte nel mondo della scuola che fa i salti mortali per sopperire ad ogni mancanza e forse non riesce più a colmare i buchi neri, perché sono troppi e vengono da troppe parti: il mondo dei pari, il mondo familiare, il mondo delle relazioni affettive. E in tutto questo, uomini sempre più inferociti, facendo appello alla forza fisica, alla logica del potere e del dominio bruto continuano a ripetere: “SEI COSA MIA” a donne che da questa trappola mortale cercano di uscire quando spesso è troppo tardi, quando a quell’ultimo incontro non era più il caso di andare, a quell’addio era inutile restare impinti. Perché chi ti ama ti rispetta, ti lascia esprimere in pienezza i tuoi talenti, le tue passioni e i tuoi desideri. Perché chi ti ama, non ti picchia, non ti offende, non usa espressioni volgari e lesive della tua dignità, non ti sbraita addosso urlando, non ti colpevolizza, non ti lascia sola, non ti perseguita, non ti uccide. Lo abbiamo ripetuto e lo ripeteremo fino alla nausea e se potesse servire continueremo a dirlo che l’amore è un’altra cosa. E’ tutto tranne che possesso. Le cose si possiedono, le persone si amano. E se continuasse a servire, pur morendo come mosche, nessuna di noi, ha intenzione di fare un passo indietro.

Abbiamo il diritto di essere tante cose e non ci viene concesso da voi uomini. I diritti non sono doni o grazie ricevute, non sono permessi speciali. Sono diritti.

Abbiamo il diritto di esprimere liberamente la nostra personalità, con vestiti più o meno succinti, con rossetti rossi, carriere affermate, tempo libero, studio, convegni, viaggi, serate in solitudine, libri, sigarette, bicchieri di vino.

Non dobbiamo chiedervi il permesso, signori uomini, per essere donne, ovvero essere umani con la possibilità linguistica, letterale e simbolica di dire NO. Quel monosillabo appartiene a voi quanto a noi. Imparate a rispettarlo come ogni giorno cercheremo di fare noi. E il NO non è un SI’ mascherato e velato, è solo NO. E se non ci riuscite da soli, vi prego, fatevi aiutare. Perché l’amore tossico, ossessivo, morboso e patologico non è sinonimo di amore ma di squilibrio, di malessere, di voragini che avete dentro.

Marisa lo so che non sarà l’ultima della infame lista, come purtroppo non è la prima ma adesso è il momento di fermarsi sulla soglia di un baratro in cui trascinate chi dite di amare e voi stessi. Continuerò a cercare risposte, continuerò a fare domande e continuerò a scrivere per Marisa e per tutte le persone a cui è stata tolta e silenziata la voce. Ma soprattutto continuerò a dire NO se lo penso e insegnerò a pronunciare questo benedetto monosillabo ai miei alunni, alle mie alunne, a mia figlia. Non so se potrà cambiare qualcosa ma so da donna che non posso per coscienza e per scelta, non farlo.