NIENTE SCORTA, NIENTE PORTO D’ARMI. ALTRO DINIEGO ALLA FAMIGLIA DI CUTRO’
Solitamente è il padre a comunicare, Ignazio Cutrò, testimone di giustizia, l’imprenditore che ha denunciato la mafia della Quisquina. Una denuncia culminata con processi per gli imputati, condannati con sentenza definitiva. Ma stavolta a farlo è il figlio Giuseppe e chiede aiuto al Ministro dell’Interno, Matteo Salvini.
Giuseppe Cutrò aveva inoltrato il 19 maggio 2018 richiesta per il rilascio del porto d’armi per difesa personale.
Una richiesta dopo che alla famiglia Cutrò era stata revocata la scorta dei carabinieri. Una richiesta motivata a tutelare la sua incolumità e della sua famiglia. “Prima me lo negarono poiché, appunto, asserivano che “fossi protetto”, precisa.
“Un decreto di diniego orientato sul fatto che si ritiene non vi sia attualità del pericolo”. Giuseppe Cutrò ritiene che il diniego “prevedeva un ulteriore passo
prima del decreto di diniego: il preavviso di diniego ai sensi dell’art. 10 bis della L 241/90 e che la Prefettura di Agrigento ha omesso, così non permettendomi di partecipare al procedimento amministrativo e negando un mio ulteriore diritto”.
“Se con il gessetto scriviamo sulla lavagna e poi passiamo la spugnetta, rimangono le tracce, figuriamoci se la mafia dimenticherà mai quello che la mia famiglia ha fatto, nella normalità, e quello che lo Stato gli ha tolto per causa nostra”, aggiunge Giuseppe Cutrò.
Si rivolge al ministro Salvini Ministro, per “far rivalutare l’istanza”, sottolineando di “intervenire sul mio caso, approfondendolo”.