NELLA CITTA’ DI ANGELINO ALFANO, SOLTANTO UNO SU QUATTRO HA VOTATO SI

Da anni ministro di rango, prima alla Giustizia, poi all’Interno, e ancor prima coordinatore nazionale di Forza Italia, pupillo di Silvio Berlusconi, Angelino Alfano non ha fortuna con le elezioni. Le perde tutte. Ha perso anche quelle di città come Favara e Porto Empedocle, dove operano i suoi fedelissimi Nino Bosco e Enzo Fontana, il primo parlamentare nazionale, il secondo regionale. Il suo consenso è stato spazzato via dall’onda grillina. E quella di ieri è stata una batosta rumorosissima. Nella sua Sicilia il SI si è fermato al 30%, nella sua Agrigento il SI si è attestato al 25%.

Nella sua città, un elettore su quattro ha votato SI. Troppo poco. Un conto minimo per un potere enorme accumulato in un partito che si attesta intorno al 3%. Anche nella Sciacca dove conta il senatore Marinello, l’Amministrazione comunale, e la maggioranza (che non c’è più), il risultato per Angelino Alfano, pur con la presenza nella città termale della ministra alla Salute, Beatrice Lorenzin, è stato disastroso. A parlare con slogan, a mostrare sorrisi smaglianti è facile. Ma la realtà è ben diversa, e la gente ha bisogni primari che il Governo Renzi-Alfano non ha compreso. L’alta percentuale di affluenza, l’alta percentuale del NO, porta con sé anche tanta rabbia, tanta sofferenza di una terra priva di infrastrutture, colma di disoccupazione. Non per nulla Agrigento è tra le ultime città d’Italia per qualità della vita.

Che c’entra la rabbia con il quesito referendario? C’entra poiché, in fondo, la società non è altro che l’espansione della struttura familiare. Se in famiglia non si riesce a garantire il pane quotidiano, è difficile parlare di beni voluttuari. La politica non ha ancora compreso il malumore che domina nella gente, dagli Stati Uniti all’Europa. Ridurlo a “populismo”, significa essere sempre più distante dalla realtà.

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