MONTENEGRO E LA CRISI: “PIU’ ALLE FAMIGLIE, MENO AI SANTI”
“È autentico amore ai Santi quello che porta a spendere diverse migliaia di euro mentre nelle stesse strade in cui passa la statua del Santo ci sono famiglie che non hanno di cosa mangiare?”
Importantissima riflessione dell’Arcivescovo di Agrigento Francesco Montenegro sulla situazione sociale della provincia e sullo stato di povertà di tantissime famiglie e sullo spreco che si fa anche nelle feste patronali.
Carissimi, in occasione della Quaresima sento il bisogno di condividere con Voi alcune riflessioni che mi stanno particolarmente a cuore. Come Vescovo desidero che la nostra diocesi sia una comunità profetica che annunci con gioia la Parola (e le indicazioni del piano pastorale ci stanno spingendo ad acquisire questo nuovo stile) e la testimoni in tutte le sue azioni.
Vi chiedo, pertanto, di accogliere questo scritto con amorevolezza e simpatia: non contiene divieti o limitazioni ma indicazioni che potrebbero aiutarci a crescere nella fede e nella santità. Ho deciso di scrivere in occasione della Quaresima perché è il tempo forte che la liturgia ci fa vivere in costante ascolto della Parola e in sincera conversione per una adeguata preparazione all’incontro con il Risorto. Ritengo che dobbiamo valorizzare la grazia di questo tempo liturgico facendo in modo che la nostra vita sia sempre più modellata su quella di Cristo che, a partire dal battesimo, abita in noi; la Sua presenza ci spinge a far morire in noi l’uomo vecchio e a camminare in una vita nuova, preannuncio e anticipo della risurrezione.
La riflessione che vi propongo riguarda lo svolgimento delle feste patronali nelle nostre comunità parrocchiali. L’argomento è molto vasto e non intendo fare una trattazione completa, anche se da più parti si avverte il bisogno di rileggere con attenzione alcuni fenomeni e di trovare delle prassi che mettano insieme rispetto delle tradizioni, genui na spiritualità popolare e fedeltà al Vangelo e all’uomo. Già il mio Predecessore vi aveva offerto un catechismo delle feste religiose che mantiene tutta la sua attualità dottrinale e propositiva.
Il problema che mi pongo e rispetto al quale vorrei che insieme riflettessimo è legato al momento storico che stiamo vivendo; ormai da alcuni anni e, temo per un tempo prolungato, migliaia di famiglie della nostra terra si trovano a vivere in serie difficoltà economiche: aumenta la percentuale di disoccupazione giovanile e non solo, l’agricoltura versa in uno stato di crisi profonda, la pesca è in grave crisi, non si vedono prospettive di investimento industriale
Sono tanti i giovani che lasciano la nostra terra per trovare altrove un’occupazione e sono in aumento le persone adulte che sono state licenziate e che non sanno come provvedere ai bisogni delle loro famiglie. Tutti voi avete il polso della situazione perché conoscete, meglio di me, le singole situazioni e vi accorgete con quanta insistenza si bussa alle porte delle parrocchie per un po’ di spesa o per pagare le bollette. È una situazione di grave crisi per la quale non dobbiamo stancarci di pregare mentre, come comunità, dobbiamo interrogarci sul da fare perché il grido di dolore che si solleva da tante famiglie non rimanga inascoltato.
Il Signore ci chiede di non perdere mai la speranza. Tuttavia, nella pedagogia divina, la speranza non è mai calata dall’alto ma si incarna in volti e persone che, attraverso gesti concreti, diventano il segno visibile della speranza divina. Questo per dire che in questo momento storico, così tormentato e faticoso, ci viene chiesto di essere noi segno della speranza che viene da Lui. La speranza, infatti, ha sempre bisogno di una traduzione concreta fatta di opere che aiutino chi soffre a rialzare la testa.
Ecco la mia proposta: le feste patronali che si celebrano nelle nostre comunità sono il segno di una fede che, attraverso le diverse generazioni, arriva ai credenti del nostro tempo i quali sentono il bisogno di onorare i Santi Patroni nel modo più solenne possibile. So bene che all’origine di ogni festa c’è un bisogno popolare di rinnovare l’amore verso coloro che sono riconosciuti come modelli e protettori e mi rendo conto che ogni festa è un momento di forte evangelizzazione per tutta la comunità. Ritengo, tuttavia, che un’autentica spiritualità – anche popolare – non possa chiudere gli occhi sulla situazione che vivono le singole comunità.
Come non porsi qualche domanda: È autentico amore ai Santi quello che porta a spendere diverse migliaia di euro mentre nelle stesse strade in cui passa la statua del Santo ci sono famiglie che non hanno di cosa mangiare? I Santi si aspettano da noi solo delle manifestazioni esterne ben fatte o una maggiore attenzione all’uomo che è la gloria vivente di Dio? La finalità di una festa religiosa si può racchiudere dentro un calendario di eventi senza dare attenzione alle problematiche del territorio?
Capisco bene quanto sia complesso il fenomeno delle feste patronali e quanto lo siano le implicanze antropologiche e sociali, però ritengo che ogni cristiano non può non interrogarsi su ciò che fa per capire se è sulla stessa lunghezza d’onda del Vangelo di Gesù Cristo. A mio avviso, nel rispetto delle tradizioni e con la dovuta preparazione spirituale, molte cose si potrebbero cambiare e, con la sincerità dei figli di Dio, non possiamo non riconoscere che ci sono sprechi di denaro che non rendono per nulla onore ai Santi. Anzi!
Ciò che vorrei chiedervi è innanzitutto un esame di coscienza per rendersi conto se lo svolgimento delle singole feste sia fedele al Vangelo o meno. Se non lo è proviamo a metterci in discussione per capire cosa e come cambiarlo. Per iniziare potremmo impegnarci a ridimensionare alcune spese. Non si tratta di tagliare qualcosa ma di fare in modo che, per la stessa cosa, si spenda di meno. Ciò che si risparmia potrebbe confluire in un fondo da destinare alle famiglie in difficoltà. Così, amando i figli di Dio che si trovano in situazioni di disagio economico e sociale, onoriamo i Santi. Così la festa religiosa diventa occasione di evangelizzazione, espressione di carità e segno di speranza.
Una simile attenzione rende meglio ragione della devozione ai Santi che deve essere vissuta come momento in cui tutti i battezzati riscoprono la vocazione alla santità e si impegnano a realizzarla percorrendo la strada maestra dell’amore per Dio e dell’amore per il prossimo. È attraverso la carità che diventiamo santi e sono tutti i Santi ad aiutarci a vivere nella carità, cioè nell’amore incondizionato verso il prossimo e, in particolare, verso chi soffre. Senza gesti di carità la devozione ai Santi rimane un atto isolato e superficiale senza alcun beneficio per la vita spirituale.
Vivendo a contatto con i Santi siamo chiamati ad allargare costantemente il cuore a Dio e al prossimo per essere, anche noi, dei santi. Ciò che Vi sto chiedendo lo ritengo possibile e volutamente ho preferito essere generico (proprio perché nessuno pensi a qualche proibizione ma tutti ci impegniamo con fantasia a capire cosa si possa fare): con un po’ di coraggio possiamo riuscirci e, ne sono certo, potremo sperimentare in modo ancora più bello il senso della festa e la vicinanza dei Santi.
Spero che queste righe possano essere d’aiuto alla riflessione ed ispirare scelte concrete da realizzare nell’immediato con l’impegno di continuare nel tempo. La Quaresima, che sta per iniziare, aiuti tutti noi a cambiare vita. I nostri Santi Patroni intercedano per noi perché, attraverso scelte piene di Vangelo e di carità, la loro santità diventi anche la nostra. Vi ringrazio per la Vostra attenzione e, uniti nella preghiera, Vi saluto tutti cordialmente
Agrigento 15 febbraio 2012
+ Francesco Montengro Arcivescovo