Messina…andata e ritorno. Ignazio tenta una nuova primavera saccense

SCIACCA.  Editoriale di Filippo Cardinale

Sabato prossimo Ignazio Messina dà il via alla sua corsa per la riconquista dell’ex palazzo dei gesuiti. Vi è una sostanziale differenza tra la spinta “rivoluzionaria” del 1993 che traeva linfa dalla “primavera palermitana” di Leoluca Orlando che, spinto dal gesuita giustizialista Pintacuda, ruppe gli schemi tradizionali delle alleanze politiche palermitane. Il gesuita Pintacuda, al contrario di padre Sorge che sosteneva un cambiamento da muovere all’interno del sistema, fu anche il padre del deleterio teorema del “sospetto è l’anticamera della verità”. Oggi, molti capelli grigi sostenitori dell’assurdo teorema si sono convertiti sulla strada di Damasco, a cominciare da Violante.

Ma tutta questa premessa è archiviata e superata dai tempi. Il terremoto politico del 1993 non può essere sovrapposto alla realtà politica attuale che naviga senza bussola e senza razionalità.

Ignazio Messina gode ancora di un buon appeal tra la gente saccense e nel tempo ha beneficiato degli effetti della botte di rovere. Si è affinato, ha una visibilità come segretario nazionale di Italia dei Valori, ha maturato un orizzonte liberale, moderato. Niente più “rivoluzione” ma capacità di aggregazione nella consapevolezza che il degrado in cui versa Sciacca, con annesse difficoltà socio-economiche, debba passare necessariamente da una visione diversa e da una forte capacità di rivoltare la città come un calzino.

Risollevare Sciacca non è compito facile. Il suo stato comatoso ha bisogno di una terapia d’urto e di una terapia post “risveglio” a lunga gittata. Ignazio Messina non arriva alla conferenza stampa di sabato improvvisando, ma attraverso un percorso che inizia da diverse settimane. Un percorso attraverso il quale sono maturati diversi incontri con le varie componenti politiche.

L’ex sindaco ha chiaro il sentiment della gente, e altrettanto chiaro i limiti di una politica locale che non solo segna il limite temporale di taluni, ma anche l’insufficienza di talaltri. In un quadro dai temi simili allo stile di Picasso, Messina impugna il pennello del realismo nel quale traccia uno spaccato netto tra il déjà-vu e chi è stato partecipe dell’ultimo quinquennio di amministrazione.

La ridiscesa di Messina può rappresentare il terzo polo che scombina la visione di chi è rimasto ancorato ad una visione che appartiene al passato. Messina può scombinare le carte, le aspirazioni, ma anche le indecisioni di chi ancora considera il passato come proiezione futura. Non rappresenta le ali estreme della politica, e attorno a sé può calamitare quel bisogno di civismo che abbia, però, una base solida su cui costruire una compagine di alto livello culturale e di esperienza.

La sua ridiscesa, senza dubbio, smuove lo stagno politico saccense.