Mafia, operazione “Passepartout”, Dimino e Nicosia condannati anche in appello

SCIACCA- Diciotto anni e otto mesi di reclusione per Accursio Dimino, 15 anni per Antonello Nicosia. Sono due delle quattro condanne inflitte dalla Corte d’Appello di Palermo nel processo di secondo grado a carico dei soggetti coinvolti nell’inchiesta antimafia denominata “Passepartout”, che nella fine del 2019 culminò con 5 arresti.

Oltre a Nicosia e a Dimino, accusati di associazione a delinquere, finirono nella rete degli investigatori anche i gemelli Paolo e Luigi Ciaccio e Massimiliano Mandracchia, questi ultimi 3 soggetti tutti chiamati a rispondere del reato di favoreggiamento.

I fratelli Ciaccio sono stati condannati in appello a 2 anni, 8 mesi e 10 giorni di reclusione. Dimino, Nicosia, Paolo e Luigi Ciaccio erano stati giudicati in primo grado con il rito abbreviato, subendo condanne rispettivamente a 20, 16 anni e 8 mesi, 2 anni e 4 mesi e 2 anni.

La posizione di Massimiliano Mandracchia è tuttora oggetto di procedimento con il rito ordinario al tribunale di Sciacca. Nelle prossime settimane è prevista la discussione finale di pubblica accusa e difesa, dopodiché sarà la volta della sentenza.

È sottoposta a processo con l’accusa di falso infine la ex deputata di Italia Viva (ma eletta con Liberi e Uguali) Giusy Occhionero, colei che permetteva al suo portaborse Antonello Nicosia, che da esponente riconosciuto dai vertici del Partito Radicale conduceva battaglie civiche in favore del riconoscimento dei diritti dei detenuti, di entrare per visitare i penitenziari e, come hanno scoperto i magistrati della Direzione Investigativa Antimafia, di parlare con i boss mafiosi detenuti al 41 bis, veicolando all’esterno i loro messaggi.

Hanno retto anche in appello, dunque, le contestazioni formulate dai magistrati Francesca Dessì, Geri Ferrara e Paolo Guido.

Un’indagine che, anche attraverso pedinamenti e intercettazioni, fece emergere uno scenario fatto di rapporti stretti e progetti criminosi comuni tra Nicosia e Accursio Dimino. Compresa l’ipotesi, poi accantonata, di una trasferta in Marocco dove uccidere un imprenditore di Sciacca del settore ittico conserviero. Dimino, detto “Matiseddu”, è stato considerato dagli investigatori il nuovo boss di Sciacca. Risale ai primi anni Novanta il suo coinvolgimento nelle operazioni antimafia Avana e Avana 2, che  sgominarono la famiglia mafiosa saccense. Nell’indagine “Passepartout” sono emersi anche presunti interessi economici di Dimino negli Stati Uniti. Secondo l’indagine Antonello Nicosia avrebbe avuto una doppia vita: in Tv parlava di legalità e diritti dei detenuti, ma le intercettazioni disposte dagli inquirenti, tra le altre cose rivelarono anche insulti a Giovanni Falcone e il fastidio per l’intitolazione dell’aeroporto di Palermo a Falcone e Borsellino.

La tesi difensiva di Antonello Nicosia è stata quella di avere millantato un potere di cui non disponeva e, dunque, di essersi inventato tutte le cose che diceva e che sono finite nelle intercettazioni che lo riguardano; quella di Accursio Dimino, invece, di non avere più alcun ruolo all’interno di Cosa nostra, essendone uscito dopo l’espiazione dell’ultima condanna. Inquirenti, e poi evidentemente anche i giudici in due gradi di giudizio, hanno ritenuto invece che il contenuto delle intercettazioni acquisite agli atti nel corso dell’inchiesta inchiodassero i protagonisti di questa vicenda alle loro responsabilità, in un quadro generale nel quale Dimino e Nicosia sono stati accusati di essersi occupati di affari illeciti in forme sistematiche di controllo del territorio tipiche del fenomeno mafioso, pur in quello che veniva considerato dagli stessi magistrati come un momento di assoluta difficoltà della cosca saccense.