MAFIA, L’OPERAZIONE “MONTAGNA” FA TERRA BRUCIATA A MATTEO MESSINA DENARO
L’operazione “Montagna”, condotta dal Comando provinciale di carabinieri di Agrigento e coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Palermo fa terra bruciata attorno a super latitante Matteo Messina Denaro. Due anni di indagini e un blitz complesso per disarticolare i vertici di due mandamenti e di sedici famiglie di “Cosa Nostra” agrigentina. Una mafia dedita a estorsioni a tappeto. Il pizzo veniva preteso anche dalle cooperative per la gestione degli immigrati richiedenti asilo. Sono state sequestrate sette società. Prezioso è stato l’apporto delle decine di Stazioni Carabinieri disseminate sul territorio. Imponente l’azione dell’Arma della scorsa notte: 400 militari, supportati da elicotteri, dallo Squadrone Eliportato Cacciatori Sicilia e da unità cinofile.
IL BLITZ E’ SCATTATO ALLA TRE DI NOTTE. Un elicottero vigilava dall’alto, facendo rapidamente la spola tra Agrigento, Favara, Sciacca e il Monte Cammarata. 400 militari, più i Carabinieri dello Squadrone Eliportato Cacciatori Sicilia ed unità cinofile per la ricerca di droga ed esplosivi hanno fatto simultaneamente irruzione in ville, appartamenti, case di campagna e casolari. In pochi minuti, sono scattate le manette ai polsi di 57 pericolosi soggetti, perlopiù capi mandamento e capifamiglia di “Cosa Nostra” agrigentina.
QUASI TUTTA LA SICILIA INTERESSATA AL BLITZ. Oltre all’intera provincia di Agrigento,l’azione antimafia ha interessato importanti centri alle porte di Palermo, Catania, Enna e Ragusa.
LE ACCUSE. I provvedimenti sono stati emessi su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia di Palermo. Le accuse sono, a vario titolo, quelle di associazione di tipo mafioso armata, finalizzata alle estorsioni, al traffico e spaccio di sostanze stupefacenti. Vengono anche contestati l’intestazione fittizia di beni aggravata, lo scambio elettorale politico-mafioso, il concorso esterno in associazione mafiosa ed il favoreggiamento aggravato a Cosa Nostra. I Carabinieri hanno anche sequestrato sette società, di fatto riconducibili ad alcuni degli arrestati.
LE INDAGINI INIZIANO A FINE 2013. La vasta operazione di oggi è il frutto di una complessa e prolungata indagine dei Carabinieri del Reparto Operativo di Agrigento. Iniziata a fine 2013, è stata svolta con le più sofisticate tecnologie di intercettazione telefonica e ambientale, con sistemi di localizzazione satellitare e, soprattutto, con una instancabile attività di indagine vecchio stile, fatta di pedinamenti e servizi di osservazione, possibili solo grazie alla capillarità delle numerose Stazioni Carabinieri disseminate in tutta l’area montana della provincia.
NUOVI ASSETTI MAFIOSI A SCIACCA E SANTA ELISABETTA. “LA MONTAGNA” SI RAFFORZA E SI ESPANDE. Le indagini hanno pienamente fatto luce sugli attuali assetti organizzativi e gestionali dei mandamenti mafiosi di Sciacca e Santa Elisabetta (AG). Ma hanno anche documentato l’esistenza di un nuovo mandamento, quello, appunto, della “Montagna”, da cui, tra l’altro, prende il nome l’operazione. Quest’ultimo mandamento è risultato essere il frutto di una scelta fatta nel 2014 dal 37enne Francesco FRAGAPANE, figlio di Salvatore, quest’ultimo già capo provincia di Cosa Nostra agrigentina e da sempre in strettissimi rapporti con Totò Riina. Il rampante erede, poco prima di essere arrestato, mise il mandamento di Santa Elisabetta nelle mani del 78enne Giuseppe Luciano Spoto, capo famiglia di Bivona, annettendo di fatto tutte le compiacenti famiglie mafiose dell’area montana agrigentina.
FATTA LUCE SUI VERTICI DI TUTTI I MANDAMENTI AGRIGENTINI E DELLE 16 FAMIGLIE MAFIOSE AD ESSI COLLEGATI. Sono stati infatti arrestati capi ed affiliati delle organizzazioni mafiose di Santa Elisabetta, San Biagio Platani (AG), Bivona, Cammarata e San Giovanni Gemini, Favara (AG), Raffadali (AG), Cianciana (AG), Sciacca, Casteltermini (AG), Castronovo di Sicilia (AG), Alessandria della Rocca (AG), Sant’Angelo Muxaro (AG), Palma di Montechiaro (AG), Capizzi (ME), Caltavuturo (PA) e Racalmuto (AG).
VIDEO E INTERCETTAZIONI. Le telecamere dei Carabinieri hanno registrato incontri e riunioni segrete, evidenziando la completa ed attuale interconnessione tra i capi mandamento, i boss delle famiglie mafiose di quasi tutte le province siciliane e persino esponenti delle ‘ndrine calabresi. Emblematica è l’intercettazione captata durante un summit, nella quale i boss dicono: “la provincia di Agrigento è più seria…di palermitani ce n’era una decina affidabili…non ci sono più..io posso arrivare a Corleone che sono ancora persone con la testa sulle spalle. Persone che ti dicono una cosa e è una cosa!”.
A discuterne erano, in una casa di campagna, Giuseppe Nugara, Giuseppe Luciano Spoto e Giuseppe Quaranta, tre dei 57 arrestati del blitz che ha colpito il mandamento di Santa Elisabetta. Gli unici che godevano della loro stima erano i corleonesi. Le parole registrate dai carabinieri di Agrigento offrono uno spaccato di una mentalità mafiosa che resiste al tempo e agli arresti. “… abbiamo bisogno di loro… e non ci sono… non è più come una volta – diceva Spoto – una volta c’era… una provincia… mettiamo su la provincia… la provincia già si sapeva dove bisognava andare… chiamava a chi… vai con lui e sapevi dove andare… adesso non si sa più niente… assolutamente… perché le cose sono cambiate… non è che sono cambiate… perché le persone che tu conoscevi non ci sono più… e quello che c’è… quello che c’è non si può muovere”. Il discorso proseguiva con le parole di Quaranta: “… ci voglio dire una cosa… vossia è più grande di me… la provincia di Agrigento sistema tutte cose… come sistemiamo noi le cose in provincia di Agrigento si spaventano tutti”. E Spoto, dall’alto dei suoi ottant’anni, aggiungeva: “La provincia di Agrigento è più seria… i palermitani sono come sono… ce n’erano una decina che erano persone affidabili non ci sono più… a Palermo sono quelli che sono… perciò se ce n’è qualcuno io non lo so… se ce n’è qualcuno ancora i non lo so… io posso arrivare fino a Corleone… a Corleone so che ci sono ancora persone on la testa sulle spalle…”. Quaranta concludeva il ragionamento: “La nostra provincia è il fiore all’occhiello di tutti”. Si sentivano i difensori dell’ortodossia mafiosa. E se ne vantavano come emerge dalle parole di Nugara, ancora una volta intercettato: “… non si chiama mafia… si chiama Cosa Nostra … è tutto l’essere umano… è dai tempi da quando è nato l’uomo che c’è questo discorso… questa parola significa rispetto per le persone… rispetto di determinate cose… giusto… non è che significa che devono essere cristiani tinti per essere… e la ci sono delle regole… che tu devi portare sempre… se devi stare vicino a determinate persone… le regole… non si scherza… così è”. E un altro grande vecchio, Ciro Tornatore, 83 anni, che sarebbe stato il capo della mafia dell’intera provincia, dispensava consigli ai giovani: “Senza alzare mai la testa… anche se ve la vogliono fare alzare tenetela bassa… non vi preoccupate… un titolo non vale niente di fronte alla persona e alla dignità”. E soprattutto bisognava stare attenti a “quei fetenti” delle forze dell’ordine.
ESTORSIONI, DA 2.000 A 20.000 EURO. Gli investigatori hanno poi svelato una fitta rete di estorsioni. Emblematica è la conversazione intercettata, in cui i capi famiglia affermano: “Certi negozi vogliono fatto lo sconto. Se dobbiamo prendere sempre il coltello, quelli saltano il vallone e se ne vanno dall’altra parte. In sostanza ci deve essere la molla…stringi e allarghi…come l’elastico!”
Sono state infatti documentate richieste di pizzo ai danni di ventisette società appaltatrici di opere pubbliche di ingente valore. In dieci casi, la “messa a posto” è andata a buon fine. La pretesa andava dai 2.000 ai 20.000 euro. Per realizzarle, gli indagati hanno posto in essere i più disparati atti intimidatori, fino ad arrivare all’incendio doloso di diverse macchine operatrici. Le ditte prese di mira sono soprattutto quelle del settore edile e del movimento terra e vengono dalle province di Agrigento, Palermo, Caltanissetta, Messina, Enna e Ragusa. I lavori erano stati commissionati da varie Amministrazioni comunali nei più disparati territori delle province di Agrigento, Palermo ed Enna. In un caso, la messa a posto è stata tentata nei confronti di una ditta incaricata dei lavori di manutenzione straordinaria della pavimentazione stradale sull’Isola di Lampedusa. In tutti questi casi, preziosa è stata la totale sinergia tra i più specializzati organi investigativi dell’Arma e la estesa capillarità delle numerose Stazioni Carabinieri disseminate sul territorio.
Due dei tentativi di estorsione sono stati fatti addirittura ai danni di altrettante cooperative agrigentine impegnate nella gestione dei servizi di accoglienza per immigrati richiedenti asilo, nei confronti dei cui amministratori veniva pretesa, da un lato, l’assunzione di soggetti vicini all’associazione mafiosa e, dall’altro, una percentuale per ogni ospite.
ARRESTATO IL SINDACO DI SAN BIAGIO PLATANI. Santo Sabella, sindaco di San Biagio Platani e presidente della SRR è stato arrestato con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa. È sospettato di aver preso accordi, in occasione delle consultazioni amministrative del maggio 2014, con i vertici della famiglia mafiosa del posto per concordare le candidature, sia a sostegno, sia contrapposte. Inoltre è accusato di aver garantito all’organizzazione agevolazioni nella gestione degli appalti pubblici banditi dal Comune.
Arrestato anche il marito di una consigliera comunale di Cammarata. L’accusa è quella di voto di scambio politico mafioso. È ritenuto responsabile di aver chiesto con successo, in cambio della promessa di future utilità, l’appoggio elettorale del boss mafioso del posto alle consultazioni amministrative del 2015.
SEQUESTRO BENI, TRAFFICO DI DROGA. La Direzione Distrettuale Antimafia, inoltre, ipotizzando gli estremi della intestazione fittizia di beni al fine di eludere l’applicazione della normativa in materia di prevenzione patrimoniale, ha disposto il sequestro preventivo, per un valore di circa un milione di euro, di sette società operanti nei settori edili e del movimento terra, nonché delle scommesse e della distribuzione delle slot machines.
Nel corso dell’indagine, i Carabinieri hanno infine accertato l’esistenza di un consistente traffico di droga. Cocaina, hashish e marijuana. Per riscontrare le accuse, i militari, in una circostanza, hanno arrestato un corriere con mezzo chilo di cocaina purissima nel portabagagli.