Mafia agrigentina, inchiesta “Icaro”: la Cassazione conferma altre 8 condanne

PROVINCIA DI AGRIGENTO. La Cassazione conferma altre 8 condanne nell’ambito della maxi inchiesta antimafia “Icaro”. Un’inchiesta che ha decimato la nuova geografia mafiosa di Agrigento che intenta a riorganizzarsi dopo la cattura dei superlatitanti Giuseppe Falsone e Gerlandino Messina e l’operazione Nuova Cupola.

I ricorsi della difesa sono stati giudicati in parte inammissibili e in parte sono stati rigettati. La Cassazione conferma la sentenza emessa lo scorso anno dalla Corte di Appello di Palermo. La pena più alta, quindici anni di reclusione, è stata inflitta a Vincenzo Marrella, 66 anni di Montallegro.

Dodici anni ciascuno sono stati inflitti ad Antonino Abate, 34 anni, di Montevago; Stefano Marrella, 65 anni, di Montallegro; l’omonimo Vincenzo Marrella, 47 anni, di Montallegro e Francesco Tortorici, 42 anni, di Montallegro. Ad Antonino Grimaldi, 54 anni, di Cattolica Eraclea, i giudici hanno inflitto 13 anni.

Quattro anni ciascuno, infine, a Carmelo Bruno, 53 anni e Roberto Carobene, 44 anni, entrambi di Motta Santa Anastasia. Gran parte degli imputati erano ritenuti affiliati, con diversi ruoli e incarichi, delle famiglie mafiose di un ampio versante della provincia di Agrigento in una fase di riorganizzazione dopo le catture degli ultimi latitanti.

L’inchiesta ha fatto emergere il ruolo in seno a Cosa Nostra di alcuni personaggi della vecchia mafia. Un’intercettazione eseguita dal Ros rivela che il boss Pietro Campo (condannato a 14 anni nello stralcio abbreviato del processo) incontrò il capomandamento Leo Sutera e gli raccontò di avere incontrato l’imprendibile superlatitante Matteo Messina Denaro.

Le telecamere a distanza della polizia documentarono il colloquio in aperta campagna, avvenuto il 22 maggio del 2012, con tutti i commenti dei due protagonisti. Gli sviluppi investigativi successivi non hanno portato all’esito sperato. Il Ros, che indagava sul legame fra le famiglie agrigentine e quelle trapanesi, chiese alla Dda di rendere segreta quella nota perché conteneva indicazioni preziose sulla localizzazione del latitante. Talmente segreta che solo al processo venne versata agli atti.

L’operazione, eseguita dalla squadra mobile, che ha condotto l’indagine sul campo, fra il dicembre del 2015 e i mesi successivi, ha fatto finire in carcere una ventina di persone accusate di far parte delle nuove famiglie mafiose dell’Agrigentino. Altre dodici condanne sono diventate definitive.