Lunghe attese sotto la pioggia per vaccinarsi: lo sfogo di un Professore di Unipa
Lunghe file a Palermo per le le vaccinazioni alla Fiera del Mediterraneo. Sotto la pioggia battente i palermitani che sono prenotati in una situazione di disagio attendono il loro turno.
Ci sono anche le persone più anziane e per quelle “estremamente fragili” che sono costrette ad aspettare il proprio turno in piedi sotto ad un ombrello. A descrivere una situazione che si può definire drammatica e che ha destato parecchio clamore, è stato un docente universitario, Paolo Inglese, ordinario alla Facoltà di Scienze Agrarie, Alimentari e Forestali dell’Università di Palermo e responsabile del Sistema museale dell’ateneo.
Il docente ha affidato il suo sfogo al giornale “Buttanissima Sicilia”. Ha raccontato ciò a cui tristemente assiste trovandosi alla Fiera del Mediterraneo, anche lui in attesa del proprio turno per la somministrazione del vaccino, ed ha descritto una situazione che non è assolutamente normale in un Paese civile.
Ecco il testo:
“Piove e da oltre 4 ore una signora di 73 anni è sotto un tendone. Al freddo, ad aspettare che qualcuno urli il suo nome, o, peggio, il suo numero, per potersi vaccinare. Per fortuna, ha una figlia che sta in coda, sotto l’acqua a cercare di carpire la voce che urlerà nome o numero della madre. Senza di lei, sarebbe costretta a stare con altre centinaia di cittadini-sudditi di una politica farlocca ad aspettare senza tempo, senza ristoro, senza indicazioni, che qualcuno la chiami per vaccinarsi. È quello che succede adesso, mentre scrivo, alla Fiera del Mediterraneo. Luogo simbolo, la Fiera, del fallimento della città e della Regione siciliana. Luogo da tempo abbandonato a se stesso. Immagine di una Sicilia che non sa e non vuole guardare al futuro. La Fiera del ridicolo, dell’approssimazione, della totale assenza di cultura della logistica. Una Fiera dell’eterna emergenza. Una Fiera del fai da te, dell’arrangiarsi. La responsabilità è sempre di qualcun altro. Di chi non ha la prenotazione, di chi arriva in ritardo, di chi dimentica i documenti, dei vaccinatori che non ci sono, delle strutture carenti, di questo e di quell’altro. È l’ennesimo fallimento del rapporto tra cittadini e Stato. Un rapporto così, purtroppo, caratteristico del nostro Paese. E in maggior misura, del nostro Mezzogiorno, della nostra Regione, incapace di affrontare un problema di logistica, di pianificazione, di strutture.
È il fallimento di un sistema pubblico (non chiamiamolo Stato) per il quale l’offerta del servizio troppo spesso coincide con la cultura del privilegio o la concessione di cortesie. È la stessa storia delle code per entrare all’Agenzia delle entrate o all’anagrafe comunale, con i bigliettini di carta e le code autogestite fin dalle prime luci del mattino. Le stesse che servono per pagare il ticket o per fare qualsiasi cosa che richieda una relazione tra servizi dello stato, del sistema pubblico e l’utenza, il cittadino. È il dramma del nostro Paese, una democrazia nel quale il servizio pubblico troppo spesso appare come un Moloch, una barriera, un ostacolo, un altro da noi. Uno Stato dove la ricerca del privilegio è la normalità, perché l’emergenza e il mal funzionamento sono la regola. Lo denunciava già Luigi Sturzo nel 1919. È così che è nata e si coltiva la cultura mafiosa. Uno stato dove ogni categoria rivendica le sue ‘diverse’ prerogative.
Io, professore universitario, ho avuto e ne sento tutta la responsabilità, il privilegio di un vaccino precoce. Eseguito in un contesto, quello della nostra Università, di estrema professionalità e in assoluta serenità, che deve consentirci di tornare a offrire il nostro servizio negli uffici, nei laboratori, ovunque sia richiesto. Perché noi sì e gli anziani no? Avverto, a 60 anni, la paura di invecchiare in Italia, in Sicilia. Io, come tanti, come troppi, che non avranno i figli accanto. Costretti a un’emigrazione forzata dall’assenza di un tessuto politico, imprenditoriale, sociale capace di fornire risposte adeguate ai giovani. E penso a tutte quelle donne che in questo istante sono ancora lì, da oltre 4 ore. In coda sotto l’acqua, al freddo. Provo vergogna per me, che lavoro per lo Stato, e profonda pena e comprensione per quelli che cercano di rappresentarlo al massimo del loro sacrificio, e sono tanti, ma anche disgusto per chi avendone la responsabilità non è lì a cercare rendere un servizio accettabile. Tutti, insieme, abbiamo il dovere di un salto di qualità. Tutti, nella politica nella pubblica amministrazione, nella società civile abbiamo il dovere primario di ricostruire l’identità tra Cittadino e Stato, del privilegio cha abbiamo, che ho, nel servirlo, servendo ogni singolo cittadino. Perché è questo il senso più alto della democrazia. Senza di esso siamo perduti, ognuno nella sua nicchia, più o meno fortunata, ma non saremo mai una comunità civile”.