Lotta agli incendi, le pecche dello Stato e della Regione

SICILIA. DI CALOGERO PUMILIA

Se non ci fosse stato ma purtroppo continua ad esserci Lucifero, quello che porta il caldo torrido, ovviamente causato dal surriscaldamento globale, gli incendi che stanno devastando la Sicilia, il Sud d’Italia e molta parte dei paesi del Mediterraneo, sarebbero stati meno estesi e frequenti. Se non esistessero, sotto falsa specie umana, stupidi delinquenti che, magari sulla spinta di interessi criminali, appiccano il fuoco ai boschi, ai pascoli e ai terreni coltivati, sfiorando e talora investendo centri abitati, non si sarebbero dovuti contare enormi danni per la devastazione del territorio.

Gli eventi di queste ultime settimane sono risultati più distruttivi di prima e il ripetersi anno dopo anno di fenomeni della natura e di atti delinquenziali si fronteggia con mezzi e strutture vecchi e inadeguati, con uomini insufficienti e con la tradizionale improvvisazione. Alle Regioni, ha ricordato di recente il dirigente della Protezione civile nazionale, tocca tutelare il territorio e predisporre la prevenzione. A questo compito da noi si è impreparati, o ci si accosta quasi con disinvoltura e approssimazione. Non serve tornare su ciò che è stato abbondantemente scritto e denunciato. Si è detto di piani di protezione civile redatti in ritardo, forse un improbabile tentativo di postergare l’estate, di mezzi insufficienti, del personale addetto alla custodia dei boschi dimezzato rispetto a pochi anni addietro. Si è denunciata l’assenza di coordinamento tra guardie forestali e vigili del fuoco, la mancata formazione dei tanti volontari che mostrano disponibilità ad impegnarsi accanto a chi ha il compito di proteggere l’ambiente dagli incendi, la inadeguatezza delle amministrazioni comunali, peraltro senza mezzi finanziari, a svolgere i propri compiti. A ciò si aggiungono gli esiti della sciagurata abolizione delle province, che ha lasciato le strade interne dell’Isola prive di un fondamentale presidio, utile anche a impedire o a bloccare il fuoco e la desertificazione crescente di molte parti dell’Isola. Si tratta di responsabilità diffuse che investono la politica regionale e quella nazionale.

In queste settimane si sono rincorse polemiche, rimpallo e rifiuto di responsabilità insieme a richieste di aiuto alle quali il governo e alcune regioni hanno dato una prima risposta positiva con l’invio di mezzi e uomini e preannunciando ristori in favore di chi ha subito danni. Alla Sicilia e alla Calabria, che hanno riconosciuto di fatto la propria inadeguatezza, lo Stato ha risposto così nell’intento di fronteggiare quella che, impropriamente, continua ad essere definita emergenza. La presenza in Sicilia di operatori provenienti da diverse regioni, anche dal lontano Trentino, dà un bel segnale di solidarietà e di coesione nazionale. Allo sforzo concorde tra le istituzioni probabilmente non si è dato il risalto che avrebbe meritato. Questo sforzo poteva essere valorizzato dal ministro dell’agricoltura Patuanelli. È arrivato a Palermo in modo clandestino, accompagnato da una sottosegretaria del suo stesso Movimento, quasi avessero dovuto partecipare a un meetup. Ha pronunciato frasi scontate di solidarietà e di attenzione per coloro che hanno subito danni dai roghi. Ha avuto un fugace incontro con il presidente dell’Associazione dei comuni ed è andato via.

Il ministro ha evitato di confrontarsi con i rappresentanti della Regione, considerati forse esponenti di parte avversa alla sua. Non ha dato così un chiaro messaggio di concorde impegno per un’azione comune. Il ministro della Repubblica, probabilmente, con una distorta visione del ruolo che ricopre, ha offerto viceversa ulteriori motivi o pretesti per alimentare le baruffe. A Palermo del resto non si abbandona l’atteggiamento piagnone di chi ignora le proprie colpe, indicando sempre quelle degli altri e si limita a sottolineare le pur fondate e antiche carenze dello Stato che ha lasciato il Sud a se stesso, spesso colludendo con le classi dirigenti locali. Le tragiche vicende di questi giorni avrebbero dovuto indurre ad una sorta di corale esame di coscienza per riconoscere le responsabilità, quelle di oggi e quelle di ieri e per prendere atto che, così com’è, la Regione non riesce ad assolvere con efficacia a nessuno dei compiti previsti dallo Statuto e rivendicati costantemente con tignosa determinazione.

Se tutto si risolve nella ordinaria amministrazione, che chiamarla ordinaria è già troppo, nella pura e semplice sopravvivenza di un istituto che gira su se stesso, che si limita ad autoalimentarsi, che per certi versi è diventato un ostacolo e non un’opportunità per lo sviluppo, che mostra le forti crepe del tempo, dell’insipienza, delle mancate riforme, quando mai si può essere in grado di assolvere a compiti straordinari o che tali diventano proprio perché non si è in possesso di nessuno strumento utile?

Questo dovrebbe essere, ma forse non sarà, il filo conduttore della riunione straordinaria dell’Assemblea dei prossimi giorni per un progetto condiviso da maggioranza e opposizione, fermi restando i ruoli e le competenze diverse.