Le elezioni dirette per le ex province rendono difficile il sogno di Ambrogio

SCIACCA- Il consigliere comunale Giuseppe Ambrogio si sentiva al sicuro sulla Rolls-Royce in viaggio verso l’agognata ex Provincia. Ma al contrario della nota pubblicità di gustosi cioccolatini, Ambrogio non era l’autista dell’avvenente signora dell’alta società ma il passeggero diretto ad Agrigento. Da anni, già con la coalizione di Francesca Valenti, il paladino della Perriera sentiva il suo lato B poggiato sulle poltrone di sala Giglia, l’ausa consiliare della Provincia.

Era tutto facile poiché la riforma del Saro Crocetta, l’ex presidente della Regione che chiuse le Terme di Sciacca e poi si rifugiò in Tunisia, prevedeva l’esclusione degli elettori dalla votazione. Votavano i consiglieri provinciali sindaci e consiglieri comunali. Insomma, per Ambrogio l’insistente, per l’Ambrogio scalciante, sembrava tutto fatto. Gli mancava solo di acquistare l’abito buono per l’occasione. Giuseppe Ambrogio da tempo ha esso in atto la tattica delle bollicine. Gas per rendere meno facile il compito di amministrare la città. In fibrillazione con Cusumano, con la coalizione di appartenenza, metteva in atto la strategia del “sabotatore”, come fosse un militare addestrato agli assalti dirompenti. E in effetti…il paladino della Perriera problemi ne ha creato.

Ma non tutte le ciambelle riescono con il buco. E Ambrogio è toccato un panettiere birichino. Le elezioni provinciali si faranno ma con l’elezione da parte dei cittadini. La ciambella che gustava Ambrogio venne così senza buco.

La questione di complica per l’irrequieto Ambrogio, e dopo l’autoreferenza del carnevale alla Perriera arriva l’amara realtà. I voti se li deve conquistare in ogni comune della provincia. E deve convincere gli elettori, e non i sindaci e consiglieri. Insomma, non regge più l’accordo del partito o della coalizione.

Il primo sì alla riforma che ricostituisce le Province manda in soffitta i fallimentari Liberi Consorzi ed è arrivato ieri. E porta con sé una moltiplicazione delle poltrone a cui andranno a caccia i politici in elezioni che si terranno, se non ci saranno intoppi, fra il 15 aprile e il 30 giugno del 2024.

Sono state introdotte ieri, per lo più con emendamenti della maggioranza, modifiche che hanno un peso enorme. Il testo dell’assessore Andrea Messina prevedeva che le tre Città Metropolitane avessero 36 consiglieri ciascuna (108 in totale). Ora si passa a 40 consiglieri per un
totale di 120.

I consiglieri delle altre sei Province passano da 26 a 30 o 36, a seconda del numero di abitanti. Significa che ai 144 seggi previsti se ne aggiungono parecchi altri: alla fine saranno fra 180 e 216. Dunque fra Province grandi e piccole si passa dai 152 scranni previsti a marzo ai 336 approvati ieri.

Aumentano anche gli assessori: nelle tre Città Metropolitane il governo ne aveva previsti 9 e saranno invece 10, nelle 6 Province minori crescono da 7 a 9. Dunque i posti in giunta passano in totale da 69 a 84. I presidenti saranno 9 e dunque la riforma porterà alla politica 429 poltrone invece delle 315 previste a marzo.

Il punto nodale è il ritorno all’elezione diretta dei presidenti e dei consiglieri. Stop quindi alla cosiddetta elezione di secondo livello (peraltro mai fatta) in cui a votare sarebbero stati solo i sindaci e consiglieri dei Comuni del territorio. Stop pure alla gratuità del mandato: il testo prevede l’equiparazione dello stipendio dei presidenti a quello dei sindaci del corrispondente capoluogo (tra l’altro recentemente aumentati). I presidenti delle 3 Città metropolitane potranno quindi guadagnare fino a 14 mila euro, gli altri fra i 10 e gli 11 mila.

Filippo Cardinale