La “rivoluzione” di un Papa venuto dalla fine del mondo

Di CALOGERO PUMILIA– È morto il Papa venuto da lontano, privando la Chiesa di una guida sicura e nuova nella sua storia millenaria. Privandola di una voce che richiamava al senso autentico del messaggio evangelico, indicando a tutti la via della salvezza. Non c’è più chi ha aperto le porte anche a coloro alle quali erano sbarrate perché lontani dalla dottrina cattolica. Non c’è più l’uomo che ha visto un Dio misericordioso unico per tutti e del Figlio del quale ieri per l’ultima volta ha riaffermato la resurrezione. La Chiesa è priva di colui che ha avviato una riforma profonda e difficile, che non poteva eliminare tutte le incrostazioni di una realtà millenaria. Francesco è stato il Pontefice che con più forza degli altri ha percorso le vie del mondo, cercando di riconciliarlo per quanto possibile con i valori più profondi di Cristo. E il mondo ha perso la voce più chiara, più forte, forse l’unica che parlava la lingua degli ultimi, li chiamava fratelli e non scarti, dava loro dignità di cittadini e di figli di Dio, colmava il vuoto abissale tra chi possiede, chi ha soldi e potere e chi non ha nulla e stenta perfino a mantenere speranza. I suoi gesti, le sue parole a volte sono parsi uno scandalo a quanti credono che solo alcuni possono vantare di essere fatti ad immagine di Dio, al quale lui, Francesco, ha chiesto, talora parendo di sfidarLo, di guardare con paterna benevolenza a chi soffre, a chi è costretto a migrare per cercare il minimo che assicuri la vita. E la Terra, ha detto, essere di tutti. Si è spenta la voce di chi ha denunciato la terza guerra mondiale a spezzoni ed invocato la pace cercando di interporsi tra le armi e i corpi dalle stesse martoriati. Non c’è più il Papa che, appena eletto, ha voluto compiere il suo primo viaggio in Sicilia, nell’ultimo lembo di terra italiana ed europea, per abbracciare i disperati che vi arrivavano e rendere omaggio a coloro che hanno perduto la vita tra le onde di quel mare che, anziché unire, separa le terre. Venendo in Sicilia ha dato un segnale preciso. Ha elevato alla dignità di cardinale il vescovo di Agrigento, il capo della Diocesi che comprende l’isola di approdo e di accoglienza. L’Italia ha perso l’uomo che dell’Italia era anche figlio, che ricorreva a parole diverse e contrastanti da quelle di alcuni suoi esponenti politici. È morto il Papa da alcuni considerato «di sinistra», ignorando o fingendo di ignorare che era l’uomo che parlava il linguaggio del Vangelo, quello delle Beatitudini, di Cristo e dei suoi apostoli, sconfitti e umiliati nel loro passaggio terreno, derisi da tutti i «farisei» del tempo e di ora, vincenti poi agli occhi di Dio, quelli che fanno le rivoluzioni vere, le rivoluzioni che maturano negli animi e nei comportamenti. Francesco, osannato da tanti devoti non credenti e ritenuto perfino un eretico da non pochi che si proclamano cattolici, ha acceso la speranza di una Chiesa povera, mondana perché nel mondo, di una Chiesa che accoglie e non giudica, che unisce e non separa. Per un cristiano la sua morte è un’assenza. Ad un cristiano lascia la speranza che il messaggio nato più di duemila anni fa nella terra più martoriata di oggi mantenga la sua forza di attrazione e il suo valore rivoluzionario. Resta la preghiera per un uomo al quale si è guardato come ad un fratello, ad un padre forte e insieme bonario, sorridente e rigoroso nella sua coerenza di vita, ad un Maestro che ti dava fiducia nella tua salvezza e indicava nel difficile, tortuoso scorrere della Storia la via della pace, della giustizia e della fraternità. Dalla fine del mondo, abitato dagli ultimi, dalle sue periferie, da Lampedusa verrà il rimpianto per la morte del Papa e la sua memoria resterà, intrisa di affetto e gratitudine. Lo Spirito Santo che per un cristiano guida la scelta del suo successore dovrà consentire che il cammino aperto da Francesco prosegua.