LA POLITICA ITALIANA NON HA LA CAPACITA’ DI GESTIRE LE CRISI ECONOMICHE
Riceviamo e volentieri pubblichiamo l’articolo degli avvocati Sebastiano Di Betta e Bepi Pezzulli.
La triste constatazione è che la politica italiana non possiede la capacità di gestire le crisi economiche. Il governo in carica, in particolare, non capisce la storia, e se pur è ossessionato dalle tasse, non sa usare la leva tributaria. Nel 2008, l’elemento tributario fu una delle concause della crisi. Gli incentivi fiscali al risk-taking avevano prodotto la corsa alla cartolarizzazione dei crediti di bassa qualità, e la conseguente esposizione sistemica al moral hazard determinò l’inaffidabilità dei prezzi degli attivi finanziari – e la crisi. La risposta fu una conversione a U sulla de-regolamentazione del sistema finanziario e un inasprimento fiscale per rimuovere gli incentivi al rischio sistemico.
Per converso, la crisi da coronavirus è causata da una pandemia, e ha determinato uno shock simmetrico, colpendo il lato dell’offerta e il lato della domanda a livello mondiale. La soluzione della crisi è stata demandata in larga parte alla politica monetaria, dando mandato alla Bce di sopperire all’assenza di una politica di bilancio comune tra gli Stati membri dell’Ue con un estensione dei programmi di QE.
Per il resto, ogni Stato dovrebbe fare più o meno da sé. Ma la politica italiana non ha saputo predisporre un intervento di politica fiscale. Evidentemente, la strada è stretta, ma la scelta compiuta è direzionalmente sbagliata.
Il pacchetto “cura Italia” introduce un programma di prestazione di garanzie, giocando su un equivoco semantico: il governo può attribuirsi il merito di aver sostenuto la liquidità, senza alcun esborso di capitale. Questo perché l’Italia ha optato unicamente per il sistema delle garanzie e il canale bancario, mentre lo schema del temporary framework previsto dalla commissione europea (19 marzo) prevede i cosiddetti “Direct grants”: contributi diretti, nel limite di 800mila euro, sui conti correnti delle aziende bypassando l’intermediazione bancaria. Evidentemente esiste una differenza tra prestazione di garanzie e stampa di moneta; così come tra credito bancario e helicopter money. La politica ha scelto una nota manovra della marina Borbonica: facite ammuina – il risultato fa eco al titolo di un film degli anni 80: sotto il vestito niente.
Tuttavia la leva tributaria potrebbe essere usata con efficacia, se solo il governo volesse e sapesse come. Purtroppo qualcuno ha rispolverato una vecchia ossessione comunista e approfittato dell’emergenza economica per proporre una bizzarra tassa sui redditi oltre gli 80mila euro, mascherata sotto il nome “prelievo di solidarietà”. Ma questa imposta Frankstein, la “reddimoniale”, è nulla più che una confisca, prodromica alla patrimoniale, il vero obiettivo di una politica incapace che intende sanare la mala gestio con l’esproprio proletario. Questo è l’uso sbagliato della leva tributaria: l’inasprimento fiscale in piena recessione è una misura da manuale di economia rovesciato, l’equivalente economico di una messa nera satanista. Il governo si rende così per nulla credibile a Bruxelles, andando a piagnucolare per più liquidità in Europa, mentre il suo azionista di riferimento predica una stretta sulla liquidità a casa sua.
Di contro, circa 80 miliardi di euro potrebbero essere immessi nel sistema economico mediante il pagamento dei debiti della PA nei confronti delle imprese e professionisti, o ancora, mediante l’estensione della compensabilità dei crediti commerciali verso la PA con i tributi ed i contributi assicurativi e previdenziali dovuti in sede di autoliquidazione.
In base a quanto previsto dagli articoli 28-quater e 28-quinquies del DPR n. 602 del 1973, i contribuenti che vantano crediti commerciali certificati nei confronti delle pubbliche amministrazioni possono compensarli con i debiti tributari e contributivi, ma solo nel caso in cui vi sia stata una preventiva contestazione da parte dell’Amministrazione Finanziaria o che vi sia stato l’affidamento del carico agli Agenti della riscossione, anche da parte di un’altra amministrazione. Come è stato più volte notato in sede accademica, anticipare il momento dellaMEF
compensazione di tali crediti, oltre ad avere un effetto positivo sulla liquidità di imprese e professionisti, costituirebbe una delle misure per ottemperare alla recente sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea del 28 gennaio 2020, relativa al procedimento C 122/18, nell’ambito della quale è stato stabilito che: “non assicurando che le sue pubbliche amministrazioni rispettino effettivamente i termini di pagamento stabiliti all’articolo 4, paragrafi 3 e 4, della direttiva 2011/7/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 febbraio 2011, relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali, la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza di tali disposizioni”.
Occorre inoltre semplificare la piattaforma di gestione dei crediti del MEF. Registrare la cessione del credito è addirittura peggio delle manovre della marina Borbonica.
Sebastiano Di Betta e Bepi Pezzulli