La paura del Covid condiziona la ripresa e i consumi
ROMA (ITALPRESS) – Paura e pessimismo sull’evoluzione della pandemia nei prossimi dodici mesi caratterizzano le opinioni dei cittadini, in particolare quelle dei gruppi sociali più vulnerabili: il 24,7% degli italiani è confuso, il 39% è ottimista e il 36,3% è pessimista. Più pessimisti sono i bassi redditi (40,3%), operai ed esecutivi (42,1%) e le donne (42,2%). E’ quanto emerge dal terzo Rapporto CENSIS-Tendercapital “Inclusione ed esclusione sociale: cosa ci lascerà la pandemia”, presentato presso la sede del CENSIS. La ricerca mette in luce come il tema della sostenibilità sociale non sia solo oggetto di dibattito e fonte di idee innovative, ma rappresenti sempre più un concreto programma operativo per l’Italia del dopo-pandemia. Il Rapporto, quindi, è uno strumento utile anche per capire come avviare interventi in grado di limitare le disparità e le esclusioni sociali, che l’emergenza sanitaria ha accentuato creando nuove sacche di povertà.
Diretta conseguenza di questo stato d’animo di paura è la cautela nella gestione delle spese. In vista delle prossime festività natalizie, il dato medio sul totale degli italiani indica che il 20,7% spenderà meno per i prodotti alimentari, il 33,1% per regali a familiari e amici, il 42,4% per viaggi e vacanze.
Dall’inizio della pandemia il 58,5% degli italiani dice di aver vissuto situazioni di forte stress psicofisico, il 58,8% di depressione, il 60,9% di ansia e paura indefinita. Un carico di sofferenza psichica socialmente diffuso, che però ha colpito di più giovani e bassi redditi.
Insieme a questo disagio psicologico soggettivo, la pandemia ha generato anche nuove sacche di povertà. Ci sono oltre un milione di nuovi poveri nel 2020, con un incremento del +21,9% rispetto al 2019: di questi, le donne sono 532mila (+22,9%), i giovani 222mila (+23,2%). Sono invece 333mila le famiglie in povertà assoluta in più nel 2020 rispetto al 2019.
Ad alto rischio nel protrarsi dell’emergenza sono le persone senza risparmi: il 23,1%, ma è il 33,4% tra i bassi redditi, il 29,5% tra i bassi titoli di studio. Tra chi non dispone del cash cautelativo la paura della povertà è più alta.
Il 16,5% degli italiani non è un utente di Internet, l’11,1% possiede una connessione che ha mal funzionato in pandemia, 27 milioni di utenti di device digitali hanno difficoltà a svolgere le attività digitali in casa, tra spazi stretti, parti di casa senza connessione o rete in overbooking per sovraffollamento. E ancora: 16,5 milioni di utenti di device digitali hanno difficoltà nell’utilizzarli perchè non ne hanno di proprio perchè non sono adeguati alle loro esigenze. Inoltre, 12 milioni hanno problemi nell’uso dello smartphone o di WhatsApp oppure nel gestire la mail, mentre 12,4 milioni li hanno in attività come navigare sui social o gestire video incontri.
Se l’Italia ha tenuto in pandemia, parte rilevante del merito è dei soggetti di welfare, a cominciare dallo Stato, che ha immesso nell’economia reale circa 60 miliardi di euro, ammortizzando circa due terzi dei quasi 93 miliardi di euro di reddito tra lavoro e capitale persi dalle famiglie. I trasferimenti sociali in denaro sono pari a 426,6 miliardi di euro (+37,2 miliardi e +8,3% reale rispetto al 2019), con un boom guidato dalle indennità di disoccupazione.
C’è stata poi la potente azione ridistributrice delle famiglie, con 9 milioni di anziani che hanno dato sostegno economico alle famiglie di figli e nipoti e 6,8 milioni di giovani che ricevono supporti economici da genitori e nonni.
Per il 92,8% degli italiani, comunque, la povertà si combatte in primo luogo creando lavoro e non moltiplicando i sussidi. Infatti, il 47,6% ritiene ad esempio che il Reddito di cittadinanza spinga le persone a non lavorare, mentre per il 37,9% è un supporto alle persone in difficoltà. Infine, il 9,4% pensa che costi troppo al bilancio pubblico.
Il 79,3% degli italiani, infine, è convinto che bisogna tassare i grandi patrimoni per finanziare la lotta alla povertà, l’88,8% è favorevole a misure fiscali a beneficio dei bassi redditi e l’80,9% a incentivare fiscalmente gli imprenditori che assumono nuovi lavoratori.
Per Giuseppe De Rita, presidente del CENSIS, “tra famiglie, reti sociali e welfare pubblico il modello sociale italiano ha dato buona prova nell’emergenza ammortizzando i costi sociali. E’ impressionante, tuttavia, vedere che gli anziani hanno avuto meno stress psicofisico rispetto ai giovani. Il vero problema del nostro sistema è proprio quello di fare futuro. Occorre dunque eliminare la cultura dei sussidi per attuare investimenti capaci di coinvolgere i giovani. Solo il rilancio dello sviluppo economico e dell’occupazione darà risposte adeguate anche al disagio sociale, riportando il welfare alla sua funzione primaria di collante della coesione sociale”.
Secondo Moreno Zani, presidente di Tendercapital, “dopo un anno e mezzo di pandemia gli effetti negativi continuano determinando sempre più disparità sociali, paure e nuove esclusioni. Emergono le richieste di interventi per aiutare le fasce più deboli della popolazione e mi preme far notare questo desiderio di welfare digitale. Non dobbiamo dimenticare infatti che non tutti hanno lo stesso accesso alla rete digitale e questo è un problema serio e da risolvere. Occorre un accesso libero per tutti, con un costo addebitato alla fiscalità generale e soprattutto alle grandi aziende tech e ai grandi patrimoni”.
“La pandemia ha accentuato il disagio esistenziale dei giovani. I dati sull’aumento del consumo degli psicofarmaci e del ricorso ai servizi psichiatrici sono la certificazione del danno. Per superare tale pessimismo occorre riportare il lavoro ai giovani e rompere questa catena di dipendenza”, spiega Paolo Crepet, sociologo e psichiatra.
Per Alberto Oliveti, presidente AdEPP, “fra gli aspetti chiave del Rapporto, emergono il senso di povertà diffuso, il concetto di incertezza, il sentimento di vulnerabilità e di finitudine in particolar modo per i giovani. Tutto ciò sta generando impoverimento e disparità sociale. Per tale ragione, nel futuro post pandemico dovremo avere un approccio necessariamente ‘one health’ prendendoci cura in modo globale della salute umana, del benessere animale e del clima”.
(ITALPRESS).