LA MAFIA E L’INTERESSE DEI REPERTI ARCHEOLOGICI. NEL MIRINO IL SITO DI SELINUNTE, IL FURTO DELL’EFEBO
L’operazione condotta nelle ultime ore dalla Direzione Investigativa Antimafia di Trapani, di cui scriviamo dettagliatamente in un apposito articolo, mette in evidenza come la mafia non ha limiti di azione per fare business. Specie nel territorio del super latitante Matteo Messina Denaro, posto al numero uno della lista dei latitanti più ricercati e pericolosi. Ovviamente, c’è sempre una persona di fiducia che rappresenta la mano lunga del super boss. Nel caso specifico sarebbe Giovanni Franco Becchina, 78enne e originario di Castelvetrano, noto commerciante internazionale d’opere d’arte e reperti di valore storico–archeologico.
Una ricchezza enorme accumulata, nell’arco di un trentennio, attraverso i proventi del traffico internazionale di reperti archeologici, molti dei quali trafugati clandestinamente nell’importante sito archeologico di Selinunte da tombaroli al servizio di cosa nostra. Secondo gli investigatori, a gestire le attività illegali legate agli scavi clandestini ci sarebbe stato l’anziano patriarca mafioso Francesco Messina Denaro, poi sostituito da suo figlio latitante Matteo.
E dietro il furto del famoso Efebo di Selinunte, statuetta di grandissimo valore storico archeologico trafugata negli anni Sessanta e poi recuperata, secondo alcuni collaboratori di giustizia, ci sarebbe stato proprio Francesco Messina Denaro.
Giovanni Franco Becchina è ritenuto a capo di un’agguerrita organizzazione criminale dedita, da oltre un trentennio, al traffico internazionale di reperti archeologici, per la gran parte provenienti da scavi clandestini di siti italiani, esportati illegalmente in Svizzera per essere successivamente immessi nel mercato internazionale, anche grazie alla complicità dei direttori di importantissimi musei stranieri.
Dunque, attività criminale di grande dimensione. A Basilea, gli investigatori hanno scovato cinque magazzini dove erano custoditi migliaia di reperti archeologici risultati provenienti da furti, scavi clandestini e depredazioni di siti.
Collaboratori di giustizia del calibro di Angelo Siino, Giovanni Brusca e Francesco Geraci, hanno confermato gli interessi economici dei Messina Denaro nel traffico dei reperti archeologici. Sarebbe stato Totò Riina a consigliare Giovanni Brusca a rivolgersi al latitante castelvetranese, quando, nei primi anni Novanta, ebbe necessità di procurarsi un importante reperto archeologico, che avrebbe voluto scambiare con lo Stato italiano, per ottenere benefici carcerari per il padre. A dire di Brusca i trafficanti d’arte legati a Messina Denaro avrebbero avuto la loro base in Svizzera.
Il collaboratore di giustizia marsalese Mariano Concetto ha dichiarato, a sua volta, di aver ricevuto l’incarico dai vertici del suo mandamento mafioso di trafugare il famoso Satiro danzante, reperto archeologico conservato a Mazara del Vallo (TP). Ad ordinare il furto sarebbe stato Messina Matteo Denaro, che avrebbe poi provveduto a commercializzarlo attraverso sperimentati canali svizzeri.
Il furto dell’Efebo. La notte del 30 ottobre 1962 l’Efebo venne rubato e i banditi tentarono di venderlo a collezionisti d’arte esteri ma senza successo. Nel 1968 la polizia organizzò un’azione di recupero a Foligno che portò a uno scontro a fuoco e all’arresto di quattro persone.