In appello condanne per 113 anni per la mafia del Belìce

TRAPANI. La Corte d’appello di Palermo, presidente Adriana Piras, ha sostanzialmente confermato la sentenza di condanna di primo grado dell’11 novembre 2019 del Gup del Tribunale di Palermo, Cristina Lo Bue, ai 14 imputati del processo di mafia “Anno Zero”, blitz che si svolse il 19 aprile 2018 contro le cosche della Valle del Belìce. Gli imputati hanno scelto il rito abbreviato.

La sentenza di condanna della Corte di appello ha applicato leggere diminuzioni di pene. A Vincenzo La Cascia, di 73 anni, di Campobello di Mazara, la pena è stata ridotta a 12 anni e 8 mesi. Allo stesso, ex campiere della famiglia Messina Denaro, una settimana fa la Guardia di finanza ha sequestrato beni per 300 mila euro.

Condanna a 14 anni e 10 mesi per Raffaele Urso, 62 anni, detto Cinuzzo, di Campobello di Mazara. La Cascia e Urso sono considerati due boss di primo livello negli organigrammi di Cosa Nostra belicina.

Queste le altre pene inflitte dalla Corte d’appello: 13 anni e 4 mesi a Nicola Accardo, 56 anni, ritenuto il capomafia di Partanna, 11 anni e mezzo al 57enne campobellese Filippo Dell’Aquila, 11 anni e 4 mesi al 51enne partannese Antonino Triolo, 7 anni e 2 mesi al castelvetranese Giuseppe Paolo Bongiorno, di 33 anni, che in primo grado era stato condannato a 11 anni, 11 anni e 2 mesi a Giuseppe Tilotta, di 59, 10 anni e 8 mesi a Calogero Guarino, 52 anni, 6 anni e 10 mesi al 43enne Leonardo Milazzo, anche loro di Castelvetrano, 10 anni in continuazione con una precedente condanna al campobellese Andrea Valenti, di 69 anni, 8 anni confermati al mazarese Angelo Greco, di 52 anni, come pure confermati i 3 anni e 4 mesi al 49enne campobellese Mario Tripoli, già in primo grado assolto però dall’accusa di associazione mafiosa, un anno e 10 mesi al 36enne castelvetranese Bartolomeo Tilotta, accusato di favoreggiamento, 6 mesi al 42enne Giuseppe Rizzuto, anche lui di Castelvetrano, accusato di favoreggiamento a Cosa Nostra, che in primo grado era stato l’unico imputato ad essere assolto.

Nell’indagine, condotta dai carabinieri e dalla Dia di Trapani, sono rimasti coinvolti presunti mafiosi, tra i quali anche due cognati del boss latitante Matteo Messina Denaro, e “fiancheggiatori” di Cosa Nostra.