“Il vizio delle parole”, rubrica settimanale di racconti: i giovani oltre la pandemia

La nostra rubrica di brevi racconti e riflessioni curata ogni domenica da Bia Cusumano ci propone oggi l’incontro con quel ondo di giovani smarrito e confuso a causa di una pandemia che ha travolto le nostre vite e bloccato i progetti di chi deve costruire il suo futuro. L’incontro e il dialogo di una docente con un suo ex alunno è spunto per ridare forza a quel mondo giovanile che rappresenta il futuro dell’umanità. La pandemia ha rallentato i loro sogni, ma forse li aiuterà ad essere più uniti, maturi e consapevoli.

Buona lettura…

 

I sogni sono di chi ci crede

    a Flavio e a tutti i giovani sognatori

di Bia Cusumano

 

“No, prof., non cambierà mai niente. Si apre. Si chiude. Si riapre. Sono trascorsi due anni e si continua immersi nel delirio più assoluto. Fascia bianca. Fascia gialla. Fascia arancione. Bene finisce se non ci chiudono di nuovo in casa per mesi e mesi. Mascherine, igienizzanti, green pass. Super green pass. Una dose, due, tre, forse quattro dosi, forse chissà. Il futuro non riesco più a vederlo”.

Quelle parole mi arrivarono dritte al cuore peggio che uno schiaffo in faccia. Un coltello che apriva una ferita con il sale della disperazione, della resa. Stavo parlando con un mio ex alunno, prezioso quanto il suo sorriso, pieno di risorse e di una bellezza di cuore e generosità così rare che da subito amai, fin dalla prima volta in cui ancora giovane professoressa, entrai nella sua classe. Ci sono alunni che non scordi mai pure se passano mille anni ed entri in mille aule. Alunni che ami in una maniera viscerale, forse perché in loro vedi i tuoi sogni, la tua passione, la tua tenacia, forse perché il loro modo di appartenere alla Scuola come Istituzione, Famiglia Sacra che io ho ereditato da mio padre, ti ricorda chi sei, come docente, forse perché certe affinità di mente e di anima non si spiegano. Forse perché ti senti amata e voluta bene e l’Amore ti resta dentro le fibre oltre il tempo. Così parlavamo ancora io e Flavio, lui ormai prossimo all’Università, un giovane uomo con in mano tutto il futuro che può e deve meritarsi ogni giovane. Ma quale futuro? Erano anni, mesi, settimane di confusione e di smarrimento. Scuola chiusa. Scuola aperta. Dad. Did. Sciopero degli alunni. Sindaci in protesta. Dirigenti confusi e sommersi da ordinanze ministeriali, regionali, comunali. Il delirio della paura, della incertezza, della angoscia di non tornare più alla vita di prima, quella che adesso, dopo due anni di pandemia, tutti chiamiamo “normale” ma che, quando avevamo come fosse la cosa più scontata e dovuta al mondo, in pochi sapevamo apprezzare.

Le parole di Flavio furono visione. Gli dissi: “Ricordi quando durante la seconda media abbiamo realizzato insieme, la manifestazione “Fratelli Diversi”? Sulle guerre in Siria, sui bombardamenti, su quelle morti orribili e ingiuste, su quei bambini defraudati dei loro sogni? Senza Scuola, senza cibo, tra bombe che sventravano le loro case, le loro famiglie, le loro vite? Ricordi che chiamammo quella rappresentazione teatrale proprio Fratelli Diversi?” “Sì prof. ricordo. – disse Flavio – Che tempi felici, come mi mancano e li rimpiango”. “No Flavio, niente rimpianti. Con i rimpianti non si cambiano i destini; con il coraggio della resistenza sì. Dalle macerie si riparte e si ricostruisce la vita. Con una fatica immensa ma si riparte proprio dai fallimenti, dalle esplosioni, dalle bombe, dalle guerre, dalle pandemie”. “E come, prof.? Erano i nostri anni più belli, quelli del Liceo… delle gite, della spensieratezza, delle riviste, delle feste, dello studio, delle interrogazioni, degli amori, del divertimento senza limiti, restrizioni, paure e adesso sono diventati anni di guerra, prof. Ho pensato tanto a quei bimbi della Siria. Io e i miei coetanei ci sentiamo così. Senza futuro. Senza sogni”.

Flavio era un ragazzo meraviglioso, dal cuore autentico. Aveva provato nella sua pur giovane vita il dolore, i pregiudizi sociali, il senso di solitudine, le sconfitte che la vita porta oltre le cose belle e i successi ma lui era rimasto un ragazzo semplice, vero, con il sorriso luminoso e la voglia sempre di aiutare gli altri. Era ciò che desideravo per lui e per tutti i miei giovani alunni: un futuro senza bombe nella testa e nei corpi. Senza ferite nei cuori. Senza ombre e paure che li perseguitassero. Flavio, aggiunsi, perché abbiamo chiamato “Fratelli Diversi” quella rappresentazione? Perché anche se il nostro destino apparentemente era diverso da quello dei bimbi siriani, non lo era poi così tanto. Non è mai così. Il dolore dell’altro ci appartiene quanto il nostro, è il nostro. Perché siamo tutti fratelli, non importa in quale nazione siamo nati, in quale condizione sociale, con quale colore di pelle, non importa se siamo sani o ammalati, non importa se talentuosi o senza alcuna ambizione, non importa se pescatori, calzolai, professionisti o managers, siamo Fratelli di un unico Destino.

Forse c’è voluto un minuscolo virus per sovvertire ancora una volta la storia dell’umanità, per farne lezione di vita, per imparare a non sentirci monadi ma mondi di un solo universo. Mondi di luce e di Bellezza che può e deve reinventarsi e ricostruirsi oltre ogni Dolore. La pandemia passerà, mio dolce Flavio, ma la lezione di questo orrore non può, non deve passare. Dobbiamo resistere e in questo momento più che mai sentirci Fratelli. Deboli, confusi, impauriti, fragili, ma Fratelli. Non possiamo ripartire da soli ma Insieme. Nessuna invidia, nessuna competizione, nessun orgoglio. Nessuno è migliore, nessuno è diverso, nessuno è immune dalla Sofferenza. Siamo uomini, siamo creature fragili, abbiamo bisogno di amare e di sentirci amati per sopravvivere, di qualcuno che ci doni coraggio, che ci restituisca speranza, forza e sogni, quando crediamo di averli persi. Dobbiamo costruire Bellezza insieme. Possiamo uscirne migliori.

Ti prego, Flavio, non arrenderti alla rassegnazione, al senso di sconfitta, di fallimento. Rivendica il tuo diritto ad essere felice e contagia con la tua voglia di fare, di credere, di sognare gli altri tuoi coetanei. Siete voi il nostro futuro. La vostra resa è la nostra più amara sconfitta. Siate ancora edera che resiste senza il sole, che si inerpica sui muri ombrosi, che non molla la presa, che cerca un’altra via, un’altra soluzione. Nessun muro della resa. Costruite un ponte di fiducia, di speranza, di sogno al quale aggrapparvi con mani e unghie, non mollate la presa. Il male passa, il bene resta. Coraggio Flavio, resisti, parlami dei tuoi sogni, dimmi che lo vedi un futuro oltre questo tunnel di orrore e che non dimenticherai le mie parole di oggi. Fai la differenza. Sii la differenza, ribellati a chi vuole farti credere che non meriti la felicità perché tu, ragazzo mio, ne meriti tanta”. Hai capito il senso di quello che desidero dirti e tramite te a tutti i ragazzi che in questo momento vorrei potessero ascoltarmi? Rialzati e riparti. Ancora. Ancora. Ancora. Sogna, perché i Sogni sono solo di chi ci crede. Sogna e cambia il mondo. Prima il tuo, poi di chi ami. A piccoli passi, con piccoli gesti. Dona il tuo coraggio ai tuoi coetanei, non avere paura.

“Ho capito, prof. sa perché adoravo le sue lezioni alle Medie?” “No, ma ora che non sei più mio alunno puoi dirmelo”, aggiunsi. “Perché si cominciava sempre con la lezione del giorno o di storia o di geografia e poi si finiva a sognare mondi sconfinati di Bellezza e orizzonti possibili oltre ogni autentico e umanissimo Dolore. Ecco perché. Ci è riuscita ancora, lo sa? Glielo prometto, non mi arrendo. Ha ragione, la pandemia passerà, come la seconda guerra mondiale che abbiamo studiato insieme, come tutte le guerre e io non voglio uscirne senza sogni. Io non me li faccio rubare da un virus per quanto infido e letale sia e se mai dovesse prendermi questo stramaledetto virus, io il mio futuro non glielo consegnerò mai”. “Bravo Flavio! Continua i tuoi studi… che il Futuro appartiene solo a chi sa sognarlo. Ti abbraccio”. “Pure io prof. la abbraccio! Ah… dimenticavo, grazie. Le sorrido, anche se lei non può vederlo in questo momento”. “Sì, ma posso sentirlo. Ed è di più, Flavio. Più che vederlo”.