“Il vizio delle parole”: i racconti delle domenica di Bia Cusumano
Il treno
L’alba tardava ad arrivare. O forse la notte era troppo lunga. Partiva verso la verità. Aveva desiderato solo una vita normale. In fondo aveva rinunciato a tante cose, e da troppo tempo. Si erano visti in pineta e Giuliana aveva preteso che Giovanni si facesse trovare sotto il loro abete con un coltellino svizzero in tasca. Voleva rimuovere quelle due G – Giuliana e Giovanni – dalla corteccia e seppellire un amore incompiuto.
«Non lo farò mai», aveva detto Giovanni. Non dopo l’amore immenso che ci lega. Giuliana, aveva conosciuto un uomo per bene, così diceva sempre di Edoardo. L’alba di un’amicizia, poi s’erano raccontati le rispettive disgrazie sentimentali. Avevano perfino riso dei loro dolori.
“No, Giovanni, me lo devi”, gli aveva detto Giuliana, “prenderai il nostro amore e lo metterai sotto terra.”
“Ami un altro? Dimmi la verità. Io invece amo ancora e sempre te.”
“Troppo comodo adesso. Non hai avuto il coraggio di scegliermi.”
Ora Giuliana fendeva l’aria. E rinfacciava a Giovanni le sue paure: prima il lavoro, poi una casa rimasta incompiuta, un figlio rimandato a data da destinarsi, un matrimonio nemmeno abbozzato.
Giuliana non si conteneva:
“Dovevi solo dire sì. Sposarmi, volere una figlia da me. Ti ho aspettato per anni, ho vissuto nel tuo limbo. Lo hai fatto con quelle prima di me, sempre lo stesso copione.”
Con lei non doveva.
Il treno tardava ad arrivare. Giuliana stava andando da Edo.
“In treno?”, aveva detto lui. “Dai, non sarebbe meglio in aereo?”
Voleva ricominciare. In tre. C’era anche Ettore ad aspettarli.
“Hai preso il cagnolino? Quello buffo e costoso? Ma quei soldi servono per la tua casa nuova”, gli aveva fatto notare Giuliana.
Edoardo provava a sviare:
“Perché con il treno? È un viaggio estenuante, e poi sei debole. Ti prenoto un volo e in meno di due ore sei qui. La nuova casa è davvero un amore. Come il mio per te.”
“Ti prego Edoardo, sai che ho bisogno di prendere il treno e di attraversare la mia terra.”
Giuliana, professione chirurgo, aveva i capelli rossi e un corpicino minuto. A volte sembrava una scheggia impazzita, ma il suo sorriso era contagioso. Edoardo se n’era innamorato subito e per lei aveva fatto follie. Giuliana gli era piombata addosso, nel vero senso della parola, se lo ricordava ancora. Un pomeriggio di novembre, aveva finito di lavorare da qualche minuto. Poi s’era diretta verso l’uscita dell’ospedale, a tutto gas, con la sua Audi rossa fuoco. Troppi pensieri in testa, così non lo aveva visto. Ma all’ ultimo era riuscita a frenare e lui si era buttato come un matto verso il marciapiede.
“Mio Dio, che le ho fatto?”
Giuliana era in preda a una crisi isterica. Edoardo se l’era cavata con qualche livido, una ferita alla gamba destra e i jeans nuovi stracciati. L’aveva guardata. Giuliana. Con il suo corpo esile ma sensuale, il profumo al gelsomino e il camice ancora addosso. I capelli raccolti lasciavano intravedere una G tatuata sul suo collo di cigno.
“Si calmi dottoressa, non mi sono fatto nulla. Non basta una bella donna come lei al volante per ammazzarmi.”
E s’era messo a ridere.
“Mi scusi, ho appena finito il turno e ho avuto una notte terribile. Praticamente non ho chiuso occhio, ho dovuto operare d’ urgenza due pazienti e adesso stavo andando a casa di mio padre, che s’è beccato un virus intestinale. Dovrò fargli una flebo, rimette in continuazione.”
Poi Giuliana aveva aiutato Edoardo a rialzarsi.
“Venga con me in pronto soccorso, le faccio dare un’occhiata.”
“Esco adesso dal suo ospedale”, aveva ribattuto Edoardo con un sorriso amaro, “e mi creda: è l’ultimo posto dove vorrei rimettere piede.”
Stava conducendo da anni un’inchiesta sulla mala sanità in Sicilia. Gli ospedali gli mettevano angoscia.
“Vuole farsi perdonare? Vada da suo padre, gli faccia la flebo, poi mi accompagnerà a comprare un paio di jeans nuovi. Questi mi sa che sono da buttare.”
“Mi chiamo Giuliana.”
“Io, Edoardo.”
“Non è il massimo conoscersi così, mi perdoni ancora, non l’ho proprio vista, si faccia almeno controllare la gamba, guardi che sta sanguinando, e poi ha fatto un vero e proprio balzo all’indietro. Magari adesso non sente nulla ma ho paura si sia potuto fare male al femore, alla tibia o alla schiena, si faccia medicare la ferita, la prego … ci penso io personalmente, non le faccio mettere le mani addosso da altri, glielo prometto.” E lo guardò intensamente.
“No, grazie tante ma nel suo Ospedale un piede non lo metto più, glielo assicuro, dottoressa. E’ solo una brutta caduta, per fortuna faccio scherma da una vita, ho i riflessi abbastanza vigili e veloci, per salvarmi repentinamente dalle donne impetuose come lei …” Sorrise ancora.
“Le assicuro che non ho nulla di rotto, è stata solo una brutta caduta all’indietro. Io lo sento il mio corpo, lo conosco. Stia tranquilla.”
Ora alla stazione prima che giungesse il treno quel “stai tranquilla” era la preghiera che Giuliana si ripeteva come un mantra, attendendo il treno che l’avrebbe portata da Edoardo. Aveva spedito tutto tramite posta, e mentre ricordava la scena alla pineta, si ripeteva quella frase come fosse un abbraccio caldo, quello di Giovanni. Sentiva freddo.
Edoardo aveva compreso che in quel viaggio in treno c’era molto più che un attraversare la Sicilia per salutarla da dentro le sue viscere. Giuliana aveva bisogno di attraversare se stessa, di fare ordine, di pensare e forse anche scrivere sul suo diario.
Come erano finiti a letto i due dall’incidente, dall’inchiesta sulla mala sanità, dai jeans strappati, dalla ferita alla gamba non lo sapevano neanche loro. Sta di fatto che Edoardo da giornalista freelance poteva scrivere ovunque e l’inchiesta l’aveva scritta tutta quanta in Sicilia. Aveva annullato il volo fissato per il mercoledì successivo ed era partito sempre di mercoledì ma di uno dei mesi successivi. I due non si erano più separati l’uno dall’altra. All’inizio la scusa perfetta era stata il senso di colpa di Giuliana per averlo quasi fatto fuori, poi la convalescenza dalla brutta caduta di Edoardo che non se la sentiva di ripartire ancora dolorante, poi l’inchiesta che forse poteva essere condotta con più dovizia di particolari. Insomma erano trascorse la primavera e l’estate ma i due erano tra i turni di Giuliana e il pc di Edo, sempre insieme. Entrambi non avevano figli ed entrambi a più di 40 anni ciascuno, li desideravano a maggior ragione dopo il disastro che avevano alle spalle. L’ultima lunga ed estenuante storia di Giuliana era stato un amore che lei aveva definito senza approdo, una Itaca irraggiungibile. Edoardo neanche la commentava la sua perché esisteva solo Giuliana da quando le era piombata addosso e lui l’aveva accolta, prima nella sua vita, nella sua testa, nel suo cuore, nel suo corpo, poi in ogni parte di sé. Ma non era possibile ricominciare lì. Giovanni e Giuliana, erano un amore sospeso. Anche lui come Giuliana un chirurgo brillante. Colleghi nello stesso ospedale. Si incrociavano ogni giorno nei corridoi a fine turno. Ogni volta era uno strazio per entrambi. E Giuliana non poteva permettersi più di pagare dazio per quell’amore infinito che sembrava sempre non avesse futuro. Insomma un amore h24, come un Hotel di gran lusso. Giovanni aveva una famiglia ostile e diciamo la verità per nulla accogliente. Dopo i primi mesi di farsa, la suocera aveva iniziato a spettegolare in giro nella cittadina in cui risiedevano e lavoravano entrambi che la nuora se la facesse con tutti i medici del reparto e che il figlio era un povero illuso a stare con una poco di buono come Giuliana. Insomma bisognava scegliere. Aut- aut. O Giuliana o la famiglia. Il povero Giovanni ci aveva anche provato ma non c’era riuscito. Vittoria era una sorta di Medusa che pietrificava e sgretolava qualsiasi donna si avvicinasse al suo unico ed eccelso figlio. Figlio che doveva essere tutto suo e che non avrebbe mai concesso a nessuna altra donna, anche perché erano sempre tutte non all’altezza del suo brillante chirurgo con una carriera spianata davanti in cui era inconcepibile una vita da uomo innamorato, da marito o addirittura da padre. Giovanni poteva solo andare a letto con chi volesse, per svago, per divertimento o per capriccio. Le donne potevano essere un passa tempo, a fine turno. Certo era fisiologico per un uomo. E questo, solo questo era sopportabile per la madre. Poi però a casa. A dormire nella villa di lusso di famiglia.
Vittoria sapeva solo vincere per cui anche questa volta si era fatta fuori l’ennesima nuora che aveva varcato la soglia di casa sua. Giuliana alla fine si era solo arresa. Lo aveva amato maledettamente. Ma adesso lavorare nello stesso ospedale, mentre incrociava ogni giorno gli occhi verdi di Giovanni era impossibile. Forse lo aveva odiato, forse una parte di sé lo avrebbe amato sempre. Desiderava una figlia, una famiglia, cose semplici, una vita normale. Gliela avrebbe detto una volta giunta a casa, la verità ad Edoardo. Il viaggio in treno le serviva per trovare le parole giuste, per scriverle anche sul suo diario. Poi una volta arrivata, guardare negli occhi Edoardo e dirgli quello che era successo. Se lo erano promesso. E Giuliana manteneva sempre le promesse. Era una donna così. Leale, corretta, fedele, passionale, bella, esuberante, magmatica. Forse anche troppo per quella dannata e amata Sicilia.
Così si erano visti, ai piedi del loro albero e con la precisione di una eccellente chirurga era stata lei a incidere la corteccia e ad asportare le iniziali, quelle due G, poi le aveva messe nelle mani tremanti di Giovanni. “Ora sotterrale, proprio qui ai piedi del nostro albero. Abbi il coraggio di seppellirmi visto che non hai avuto il coraggio di amarmi più di ogni altra persona al mondo. Seppellisci il nostro amore, una volta e per sempre e poi dimenticami. Ho diritto ad essere felice. E tu non sai, non vuoi, non puoi farlo. Forse ci riuscirai sul serio ad amare, solo quando tua madre non ci sarà più.”
“Giuliana, è un rito macabro e assurdo ma se vuoi che io lo faccia, lo farò ma sappi che seppellisco solo un pezzo di corteccia. Io non smetterò mai di amarti e tu non sarai mai per me, Giuliana, ma la mia Giugi. La donna che ho amato di più nella mia vita e che non smetterò mai di amare, pure dovessi sposare un’altra. Dio mio, quanto sei bella, quanto vorrei potere tornare indietro e darti quella stabilità e quella sicurezza che non ho avuto neanche io nella mia vita. Per me è stato un inferno, dovere scegliere tra te e la mia famiglia. E’ innaturale, capisci, io vorrei davvero tanto tu riuscissi a capire, una volta e per tutte, il mio dolore. Tu hai avuto sempre tuo padre dalla tua parte, io mai nessuno. Mi hanno fatto sentire sempre un fallito, un emerito stronzo, uno che non è e non sarà mai abbastanza e che non merita di essere felice.”
“So tutto, Giovanni, ed è stato uno strazio lasciarsi amandosi. Un giorno capirai che era più semplice di come nella tua mente pensavi. Davvero molto più semplice. Dovevi solo sposarmi, scegliermi, darci un figlio. Volevo solo una vita normale, ti sembrerà strano, detto da una donna come me. Tutta la felicità in un paniere. Ricordi? Volevo te. Amavo te. Volevo la nostra Itaca. La nostra casa. La nostra famiglia. Tu mi hai rubato i sogni, negato il futuro, la felicità. Non lo so, se potrò mai perdonarti. Mi hai strappato un amore vivo dal petto. Lo trovi macabro questo rito? No! E’ simbolico. Te lo devi ricordare per tutta la vita. E ogni volta che sarai a letto con un’altra, una delle tante, devi pensare che l’Amore, non il sesso, è come un treno e giuro alla tua stazione è stato fermo ad attendere che tu salissi per anni. Salissi e cambiassi vita. O magari ci penserai quando terrai le tue lezioni a Medicina. So che ti hanno assunto all’Università di Palermo come docente di chirurgia generale. So che hai vinto il concorso e sono sicura sarai un docente brillante.” Giuliana era fuori di sé.
“Avevo scelto comunque di restare part-time anche nel nostro Ospedale, solo per poterti vedere nei corridoi o all’uscita o nel parcheggio. Io senza te non so immaginare un futuro, Giugi. Sono un uomo solo, smarrito e terribilmente infelice.”
“Lo so cosa avevi scelto, me lo avevano riferito i nostri colleghi, Giò, per questo vado via io. Parto, mi trasferisco altrove, ricomincio da capo con un uomo che vuole darmi esattamente tutto quello che mi hai negato tu. Me lo merito.”
“Non ci credo sul serio che tu sia riuscita ad andare oltre Noi. Io pure mi scopassi il mondo intero non ci riuscirei mai. Per questo mi danno, per questo ho accettato questo rito macabro. Speravo che vedendomi qui sotto il nostro albero cambiassi idea. Tornassi con me. Io ti amo ancora. Anche a me è giunta voce del tuo trasferimento e sono impazzito solo all’idea di non poterti più vedere almeno in Ospedale.”
“Io non sono come te, Giò, per questo ti sei innamorato di me e ancora mi ami, a modo tuo, senza potermi mai promettere nulla, con le tue ossessioni, paure e gelosie folli ma mi ami, lo so. L’ho sempre saputo.”
“Perdonami se non sono riuscito a darti fino ad ora la nostra Itaca, ma il dolore mi ha fatto crescere. Sono un uomo migliore adesso. Mi seno pronto per approdare. Lo so che ti ho deluso, fatto soffrire e devastato il cuore ma ho sofferto come un cane anche io. Ho pianto all’infinito per te, ma ora guardami Giugi, sono qui a dirti che solo tu sei Casa, solo tu sei l’Amore. Forse me ne sarei dovuto andare io, non tu, con i tuoi problemi di salute e con tuo padre anziano. Ma capisco che hai deciso e quando decidi, nessuno e niente ferma Giugi.”
Il treno, stava arrivando. Il treno insieme ad una alba sicula da mozzare il fiato. Giuliana sentì squillare il cellulare, cercò repentinamente nella borsa. Era Edoardo. Voleva sapere se fosse già sul treno.
“Il treno è appena arrivato. Sento freddo ma sto bene, adesso stai tranquillo te lo dico io. Scriverò durante il viaggio, ma tu non preoccuparti, avrò il mio diario a farmi compagnia. Aspettami che già domani sera sono da te. Appena arrivo, devo parlarti. E’ importante.”
“Stai male? Mi metto in macchina e ti vengo a prendere immediatamente, non salire sul treno. Mi devo preoccupare? Non ce la faccio ad aspettare fino a domani sera. Ti prego dimmi cosa è successo. Hai una voce strana da giorni, ti conosco, ti prego Giù.”
“Edo, va tutto bene. Ti ricordi la promessa? Quella sulla verità, quella sul dirsi tutto? Quella sull’essere sempre dalla stessa parte? Ecco sei un uomo per bene, me lo hai insegnato tu a dire sempre la verità anche a costo di pagare e poi prima di te me lo ha insegnato mio padre.”
“Ho già capito. Si tratta del tuo ex. Io ti aspetto, anzi noi, io ed Ettore ti aspettiamo e qualsiasi cosa mi dirai sappi che sarò dalla tua parte, perché mi fido di te e della tua onestà e so chi sei. Una donna che solo un coglione potrebbe pensare di perdere.”
Il treno, l’alba e un’altra chiamata giunsero nello stesso istante. Giuliana rispose. Era Giovanni. “Non lo fare. Non salire su quel treno. Ti prego.” Il giorno della pineta, non erano riusciti a seppellire le lettere. Erano andati a casa di Giuliana ed erano rimasti abbracciati a letto a fare l’amore per l’intero pomeriggio, con quella tenerezza e passione di sempre. Si erano detti ancora una volta ti amo. Un ti amo che era diventato carne. Giuliana era rimasta incinta. “Lo sai che lo devo fare, aveva risposto lei. Edoardo merita la verità. Tutti la meritiamo. Gli dirò che amo ancora te.
E’ un viaggio per dire ad un uomo per bene che io non l’ho preso in giro ma l’amore non replica e tu ed io ci apparteniamo da sempre. Avrei dovuto dirglielo fin da subito, ho sbagliato. Ho cercato sempre te in lui e tutte le cose che mi ha dato mi hanno ricucito il cuore. Ma il mio cuore è solo tuo. Questo glielo devo, poi torno e ricominciamo dal nostro amore, dalla nostra Itaca e da noi tre. Fidati di me.”
“Noi tre? – aveva replicato Giovanni – in che senso?
“Sono incinta. Il pomeriggio della pineta, ricordi? Volevo dirtelo al rientro dal viaggio, lo devo dire anche ad Edoardo.”
Giugi, mio Dio! La nostra bimba! Torna subito a casa, finisco il turno alle due, troveremo una soluzione per dire la verità ad Edoardo ma non è questa : quella di andare da lui in treno, con una bimba, la nostra, in pancia. Ragiona, ti prego”. Giuliana, riattaccò. Nel brusio dei passeggeri che salivano sul treno, riconobbe una voce cara. Stava per salire proprio nell’ istante in cui vide Emma gesticolare e correre verso lei a gran passo. “So tutto, – le disse -, non partire, non con la figlia di Giovanni nel grembo. E’ ora che la finiate entrambi di provarci maledettamente ad andare oltre voi. Vi amate, ci avete provato in ogni modo a lasciarvi, a rinnegarvi, perfino a tradirvi. Ora aspettate pure un figlio. Basta Giuliana, la tua Itaca è qua. Lo so che è incomprensibile o assurdo ma l’amore è così. Mi ha chiamato Giovanni, guarda che è un medico, lo aveva capito che eri incinta, aspettava solo che glielo dicessi tu. E’ in ospedale di turno e mi ha pregato di correre in stazione da te per fermarti. Tu e la tua ossessione per la verità. Glielo dirai ad Edoardo ma ora hai bisogno di tempo, per te e la creatura che hai in grembo. E’ successo tutto troppo in fretta. Fermati, respira, ragiona. Tanto se proprio lo vuoi sapere pure Edo ha provato a dimenticare la sua ex con te. Insomma non ha funzionato per nessuno di voi. Si consolerà con il cane costoso, se ti avesse amato sul serio non ti avrebbe costruito a tavolino una vita lontano dalla tua terra. Si sarebbe trasferito lui e se tu lo avessi amato senza cercare sempre Giovanni, non saresti ora incinta del tuo perenne eterno ex.” E rise con gli occhi furbi, belli come due fari di luce blu. Emma e i suoi sillogismi perfetti. Torto non ne aveva. Edoardo sarebbe rimasto sempre un uomo per bene e una persona importante che aveva dato tanto a Giuliana in tutti quei mesi. Ma Itaca è Itaca e non esistono duplicati.
Il treno fischiò per l’ultima volta e mentre il sole inondava il cielo di un caldo intenso, Giuliana sentì il primo calcio della sua bimba nella pancia. “Senti, – disse ad Emma-, è il primo calcio che mi dà, sarà che ha preso dalla madrina, un vero peperino.” Giuliana ed Emma si abbracciarono. Il treno sfumò in quell’abbraccio tra tre donne che sfolgoravano nel cielo di Sicilia. Un inno alla bellezza della vita che rinasce sempre dalle sue macerie.