“Il vizio della parole”: il racconto della domenica di Bia Cusumano
Il Ciottolo in fondo al cuore
«Domani mi sposo. Vorrei passare l’ultima notte con te.»
Non c’era neanche bisogno di rispondere «scusa, chi sei?» Giada sapeva già chi le aveva scritto. Lo aveva capito mentre lavorava ai fianchi il suo ultimo articolo. Una tazza di latte alle mandorle e Sakamoto a fare da sottofondo. Ottima atmosfera. E poi sapeva perfettamente come controbattere, zero esitazioni. Sorrise, prese il cellulare adagiato sulla scrivania del suo grande studio e fece un giro completo attorno alla sedia di pelle rossa sulla quale di solito si sedeva.
«Ti sposi e sono felice per te. Me lo avevano anche detto. Spero tu possa trovare l’amore che non hai saputo accogliere e custodire tra le nostre braccia. Auguri.»
Glielo scrisse di getto. Perché in fondo Giada era come un ciottolo levigato dalle intemperie della vita. Cuore gentile e immobile. Non che non le battesse, è che non si innamorava mai di nessuno.
«Ho il cuore in pausa.»
Così rispondeva a chi provava a entrare nella sua vita da single.
«Eppure sei bella, colta, affermata».
Suo padre, che si chiamava Edoardo, glielo faceva notare di continuo, soprattutto nel bel mezzo delle loro infinite conversazioni alla ricerca del più e del meno. Ma niente. Gli anni passavano e Giada sprofondava nel suo distacco totale dai sentimenti.
«Io non capisco. O forse mi rifiuto di accettarlo», le aveva detto un’altra volta quasi rimproverandola.
«Perché ti ostini a stare sola? Credi che io sia eterno?»
Amava incalzare Giada sperando di scalfire la corazza che ormai l’avvolgeva.
«E poi, che farai senza me? Vivrai del tuo lavoro?»
Giada guardò suo padre con gli occhi di chi guarda l’eterno custode dei propri segreti.
«Cosa mi consigli di fare, papà? Di invecchiare dolcemente accanto a chi non amo visceralmente solo per alleggerire il peso della solitudine? Solo per avere una compagnia nel mio letto e sentire meno freddo durante la notte? Mi basta la mia coperta termica Imetec, con tanto di telecomando per regolare la temperatura.»
Giada era fatta così, niente mezze misure. Negli anni, suo padre si era rassegnato. Eppure, vederla ancora così bella e realizzata, ma senza un compagno accanto, gli procurava un grande dispiacere. Il perché lo custodiva nel suo cuore, immenso come l’amore che lo legava a Giada. C’era infatti un nome che non era mai riuscito a pronunciare. Amava troppo sua figlia per ripescare quella storia dal luogo segreto in cui tutti avevano deciso tacitamente di seppellirla. Tranne quella volta in cui, esasperato da una insolita crisi emotiva di Giada, si era lasciato andare:
«Era Giorgio l’uomo della tua vita. Io l’ho sempre saputo. Non capisco perché vi siate lasciati. Era lui, Giada.»
Lei lo fulminò con lo sguardo. Ma alla fine riuscì a sputare il rospo che aveva in gola da tanto tempo:
«Giorgio si è sposato. Ha una bambina bellissima e ora è felice. Non azzardarti a pronunciare mai più il suo nome.»
Passarono infiniti istanti di gelo prima che Giada riuscisse ad addolcire il tono della voce.
«Devo andare. Domani ho un’intervista importante e ho ancora da sistemare le ultime riflessioni. Torno per cena, ma non aspettarmi al nostro solito orario, sicuramente farò più tardi. Non farmi più perdere tempo con questi discorsi inutili e privi di senso su chi sai tu. Chi ama, resta. Non si sposa con un’altra persona per poi scriverti la notte prima delle nozze.»
Edoardo fece spallucce, poi provò a cambiare argomento.
«Ho comprato il pesce che adori e il Bianco di Nera. E poi radicchio e cetrioli con mais e pomodori. Ti aspetto a qualsiasi ora.»
Le diede un bacio sulla fronte e l’accompagnò al cancello della villetta. Stavolta l’affondo era una carezza:
«Sono orgoglioso di te, Giada. Scusa per prima.»
Glielo disse mentre lei entrava nella sua macchina rossa. Si salutarono con lo sguardo, un rito che si ripeteva ogni volta. Ma non appena scomparve dietro l’angolo, Giada scoppiò a piangere. Poi aprì il cruscotto e, dalla selva oscura di CD e documenti sistemati alla rinfusa, tirò fuori un ciottolo che in tutti quegli anni, nonostante i tanti viaggi e gli innumerevoli traslochi, aveva voluto custodire.
Giada e Giorgio. I loro nomi incisi con la penna blu. E poi una data che ricordava un vecchio amore. Il loro era stato un colpo di fulmine, lo ricordava ancora: una lunga passeggiata in una splendida località di mare. Le loro mani si erano incollate per prime, poi era toccato alle labbra e ai loro corpi sudati. Giorgio l’aveva riaccompagnata a casa intorno all’alba.
«Sei la donna della mia vita. Guardiamo l’alba insieme».
Glielo aveva detto a bruciapelo, sembrava crederci. E lei pure.
E vennero i primi mesi insieme. D’amore dolcissimo e di rabbia funesta. Si erano riversati sui loro destini all’improvviso, come un magma che divora ogni cosa senza preoccuparsi di distinguere. Colpa della sorella di Giada, che era sempre stata invidiosa del loro amore. Per non parlare della famiglia di lui, invadente e sospettosa fino all’inverosimile. Il matrimonio? Ma neanche per idea, quei due non erano fatti per stare insieme, dicevano.
Giorgio alla fine si era arreso.
«Amore, devo vederti.»
Ma Giada sapeva.
«No, Giorgio. È meglio parlare al telefono. Lo capisco, è una guerra feroce contro di noi, hai perfettamente ragione. Fatti la tua vita, innamorati di un’altra donna che non ti attiri addosso le invidie e la rabbia di nessuno. Non hai ancora la forza necessaria per sovvertire il tuo destino per me e per noi. Forse non l’avrai mai. Non vuoi litigare con i tuoi genitori, non vuoi rompere i ponti con mia sorella. Hai scelto la pace sacrificando il nostro amore. Non tornerà più, sappilo. Ma resterà, come un ciottolo di fiume in fondo al cuore.»
Dall’altra parte della cornetta a parlare era una voce rotta.
«Io non ce la faccio più, capisci, amore mio? Non sono come te, non ho la tua forza e il tuo coraggio. Ma so che sei tu l’amore della mia vita. Un’altra cosa… Sappi che il ciottolo con i nostri nomi incisi sopra, che abbiamo entrambi, lo conserverò per sempre.»
E vennero altri anni. Ma nella vita di Giorgio s’era intromessa un’altra donna. Un architetto in carriera, moglie e madre perfetta, la promessa di un figlio. E lui lo desiderava. Nel giro di un anno decise di sposarla e fece le cose per bene: un matrimonio in pompa magna, un viaggio di nozze da sogno, una casa arredata con gusto, una figlia bellissima. Il ciottolo però Giorgio lo aveva sempre conservato. Era lì, nel cassetto del suo studio, al riparo da occhi indiscreti.
Intanto il matrimonio di Giorgio cambiava pelle. Lentamente si trasformò in una farsa senza senso. Ancora. I rimpianti e i sensi di colpa lo affliggevano ogni giorno di più. Ma Giada l’aveva sempre tenuta d’occhio attraverso amicizie comuni.
Finché le scrisse, in piena notte.
«Lei non c’è, va sempre più spesso a casa dei suoi, ormai mi sento un ragazzo-padre, trascorriamo appena il weekend insieme. Si è aperta uno studio nella sua città di origine e porta nostra figlia con sé. Si è rivelata una bastarda cinica e assetata di soldi. Non le importa nulla della famiglia, né di me. Non lo dicevi sempre tu che chi ama resta? Ho sbagliato tutto! Ho sbagliato a lasciarti. Mi chiedo se mi perdonerai mai, Giada. Ti prego, vediamoci. Noi due ci apparteniamo, siamo l’Amore, quello vero.»
«Ci penso».
Giada lo scrisse in fretta e staccò la connessione, era notte fonda. Scese in cucina, si preparò una tisana e si rilassò con un po’ di musica in filodiffusione. Poi si lasciò aggredire dall’istinto: le chiavi dell’auto, la vestaglia sul pigiama, la porta blindata, la macchina, il cruscotto, il ciottolo. Lo prese tra le mani. Poi richiuse tutto alle sue spalle. Cruscotto, macchina e porta blindata. Si sedette, sfinita, mentre il bollitore riempiva di vapore acqueo la cucina. Lo spense, si versò l’acqua nella tazza con il filtro ai frutti rossi e lasciò che da bollente divenisse a poco a poco tiepido. Posò il ciottolo sul tavolo e, mentre sorseggiava la tisana lentamente, riattraversò tutti quei lunghi e interminabili anni come in un film: i messaggi, le parole di Giorgio, le foto del suo matrimonio con l’architetto, le immagini della bambina che avrebbe dovuto essere la loro, l’ingiustizia che aveva subito, il dolore di essere lasciata, l’invidia atroce di sua sorella, la mancanza di coraggio di Giorgio. E poi le venne in mente la loro felicità estrema.
Giada in fondo lo aveva perdonato tante volte. Troppo comodo però cercarla ora. La felicità non si costruisce sull’infelicità di qualcun altro. Giorgio era stato debole e codardo, aveva scelto una vita comoda. No. Non gli avrebbe permesso di ferirla di nuovo.
Giada bevve la tisana, lasciò la tazza e il ciottolo sul tavolo della cucina e andò a dormire. L’indomani scrisse a Giorgio.
«Torna da me, ma da uomo libero. Io non sarò mai la tua amante. Forse il nostro amore resterà solamente un ciottolo in fondo al cuore. Ma la mia dignità vale più della mia stessa vita.»
«Chapeau.»
Era lui. E raccolse l’assist al volo.
«Sapevo che avresti risposto così. Ti verrò a cercare appena lascerò mia moglie. Sei tu l’Amore della mia vita. Ma per ora è giusto che paghi il mio errore.»
Giada prese il ciottolo, lo strinse di nuovo tra le mani e lo ripose dentro il cruscotto dell’auto. Poi si preparò per la presentazione del suo ultimo libro. Il padre capì che nello sguardo sfolgorante di sua figlia si celava qualcosa di nuovo. Ma non fu il solo.
«Bravissima e bellissima come sempre». Emma, la migliore amica di Giada, fece capolino all’improvviso. Era l’unica persona capace di entrare nei suoi pensieri.
«Domani andiamo in spiaggia a raccogliere ciottoli bianchi? È domenica! Almeno la domenica le scrittrici non lavorano.»
«Solo se sui ciottoli scriviamo i nostri nomi.»
Giada glielo disse strizzando l’occhio. Poi abbracciò Emma con tutto l’amore che voleva ritrovare.