IL TRIBUNALE DI SCIACCA E’ IL TERZO PIU’ VIRTUOSO D’ITALIA
La relazione del Consiglio Nazionale Forense ha elaborato la proposta per la revisione della geografia giudiziaria (che pubblichiamo) e smentisce i dati del Ministero: I 37 tribunali da sopprimere costano 17 mln di euro l’anno
La relazione da parte del Consiglio Nazionale Forense, di cui è esponente di spicco l’avvocato Filippo Marciante, ha completato lo scorso 12 maggio la proposta per la revisione della geografia giudiziaria.
Uno studio dettagliato smentisce i dati che fino ad oggi sono stati diffusi dal Ministero, dimostrando “la realtà dei fatti”.
Ad esempio: i 37 tribunali subprovinciali costano 17 milioni di euro l’anno. Se si sommano le spese per le 160 sezioni distaccate, che sommano 15,982 milioni di euro l’anno, il costo complessivo è di 32,982 milioni di euro. Il Governo ha sempre parlato di 80 milioni di euro l’anno di risparmio.
Inoltre, il Tribunale di Sciacca è il terzo più virtuoso d’Italia, dopo Orvieto e Saluzzo.
Questi i dati:
Tribunale di Orvieto , totale spesa € 200.141 anno
procedimenti:
civili sopravvenuti 3.392
esauriti 3.423
penali sopravvenuti 7.101
esauriti 6.131
Tribunale di Saluzzo , totale spesa € 276.000 anno
procedimenti:
civili sopravvenuti 4.852
esauriti 5.944
penali sopravvenuti 11.074
esauriti 11.641
Tribunale di Sciacca , totale spesa € 473.871 anno
procedimenti:
civili sopravvenuti 2.856
esauriti 4.021
penali sopravvenuti 3.166
esauriti 3.052
Questa la relazione del Consiglio Nazionale Forense, che pubblichiamo.
Nella disamina dello scenario che potrebbe aprirsi a fronte della decisione di ridurre le circoscrizioni giudiziarie, le sezioni distaccate di Tribunale e gli Uffici dei Giudici di Pace occorre partire dal dato letterale delle norme vigenti in tema di tutela dello Stato di diritto, controllo della spesa pubblica e salvaguardia della giurisdizione, coniugato con il senso della ragione e la previsione del risultato.
Dovranno, infatti, essere salvaguardati il compiuto esercizio del diritto di difesa (art. 24 Cost.) in un contesto giurisdizionale (art. 111 Cost.) che ponga i cittadini su di un piano di effettiva uguaglianza (art. 3 Cost.).
Solo così operando ed anche tenendo conto, ovviamente, della delega conferita al Governo con la legge di conversione del DL n. 138/2011, sarà possibile articolare considerazioni, ipotesi progettuali e strategie giurisdizionali utili, ad un tempo, per:
– valutare la congruità delle spese fm qui sostenute
– prefigurare l’eventuale migliore allocazione delle medesime
– accertare quale dimensione strutturale coniughi al meglio la razionalità della spesa e l’efficienza del servizio
ottimizzare, di conseguenza, la distribuzione sul terri orio delle risorse economiche e personali necessarie all’amministrazione della giustizia
garantire a tutti cittadini, persone fisiche od imprese che siano, di usufruire del servizio giustizia
ü razionalizzare gli investimenti necessari
Non a caso, la delega conferita al Governo in tema di “riorganizzazione sul territorio dégli uffici giudiziari”, contenuta nell’art. 1 della legge n. 148/2011, di conversione del D.L. n. 138/2011, recante invece “ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo”, richiama esplicitamente il dovere del Governo di perseguire le “finalità di cui all’art. 9 del decreto legge 6 luglio 2011 n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011 n. 111. “.
Orbene, detta norma pone un obiettivo di razionalizzazione della spesa (pubblica) e di “superamento del criterio della spesa storica”, volto a definire i “fabbisogni standard propri dei programmi di spesa delle amministrazioni centrali dello Stato”, individuando altresì le eventuali criticità nell’erogazione del servizio e le possibili duplicazioni delle strutture preposte al medesimo. La conseguente acquisizione dei dati, richiesti alle amministrazioni centrali, dovrebbe quindi consentire, a partire dal 2013, la formulazione ed il perfezionamento da parte delle medesime di accordi triennali con il Ministero dell’economia, tesi al superamento della sopraccennata spesa storica ed alla determinazione di modelli organizzativi più efficienti.
L’Avvocatura, da epoca non sospetta (28 novembre 2002 — Controrapporto OUA sull’irragionevole durata dei processi), lamenta come il tema delle riforme del sistema giustizia venga affrontato senza la preliminare e ragionata disamina dei dati relativi all’attività svolta. Inoltre, la normativa di riferimento relativa alle spese strutturali del servizio, al netto di quelle sostenute per il personale, comporta per la spesa pubblica una ricaduta acritica degli oneri affrontati da gli Enti locali in ottemperanza alla Legge 24.04.1941 n. 392.
Per tali ragioni, viene di conseguenza sempre trascurato, in primo luogo, il rapporto tra spesa ed efficienza. Secondariamente, non sono mai stati posti in essere quegli interventi di possibile contenimento delle spese desumibili dai Rendiconti delle Conimissioni di manutenzione (canoni di locazione, spese per la sicurezza, spese per la pulizia dei locali, etc.); che potrebbero essere realizzati senza alcuna spesa, ma con la ragionevole aspettativa di consistenti risparmi.
E’ pertanto mancata, fin qui, una progettualità consapevole, malgrado il Legislatore e prima ancora le regole del buon governo abbiano limpidamente tracciato le linee programmatiche da seguire. Infine, non si può trascurare, ancora con riguardo a quanto sopra, che la giurisdizione costituisce una irrinunciabile componente di ogni democratico ed equilibrato sistema sociale occidentale. Per tale ragione, il nostro sistema giustizia non può essere aprioristicamente, oggetto di Interventi asseritamente riduttivi della spesa (e del servizio); al contrario, dovrà essere destinatario di ipotesi e di progetti di investimento, sia ricorrendo a nuove risorse, sia ricollocandone altre eventualmente “liberate’ nel proprio ambito, ovvero in altri settori della spesa pubblica.
L’obiettivo, quindi, della ricerca avviata dalla Commissione insediata dal Consiglio Nazionale Forense lo scorso 30 agosto 2011 è stato quello di pervenire alla determinazione di un metodo di analisi, di ricerca, di valutazione e di progettazione confoinie alla norma delegante, che consenta di individuare gli odierni dati di efficienza e di spesa e quindi, sotto questa luce, di esaminare senza preconcetti e senza ricorrere a postulati meramente strumentali il tema della geografia giudiziaria, dell’efficienza del sistema giustizia e delle risorse che l’esercizio della giurisdizione richiede.
Il presupposto, quindi, non era e non è il mantenimento dell’esistente, bensì, attesa l’attuale distribuzione sul territorio nazionale del servizio giustizia ed ovviamente non trascurando, nella successiva elaborazione del progetto, le specificità della geografia fisica ed il sistema di collegamenti che innerva il Paese, quello di rappresentare quale potrebbe essere il miglior servizio giustizia da porre a disposizione dei cittadini a costi preventivati e sostenibili.
La propensione ad individuare nella cosiddetta giustizia di prossimità la più elevata possibile delle offerte di servizio tiene ovviamente conto della necessità che le funzioni, attraverso le quali lo Stato di diritto regola i rapporti fra i soggetti amministrati e presiede al rispetto delle regole di civile convivenza, siano accessibili e fruibili.
Ciò vale indifferentemente, peraltro, per i tre capisaldi della società: l’istruzione, la sanità e la giustizia.
Alla superiore facilità di accesso, si assommerebbe il vantaggio di un maggior numero di presidi preposti alla difesa della sicurezza sociale ed un’organizzazione più agile che, in uno con la presupposta professionalità dei soggetti della giurisdizione, assicurerebbe risposte più rapide a costi compatibili con il dovere di ogni Stato di consentire ai cittadini la tutela effettiva dei propri diritti.
La ragioni dei fautori di un radicale mutamento della geografia giudiziaria risiedono, invece, nella convinzione che un minor numero di sedi consentirebbe economie di scala oggi trascurate e/o impraticabili. Inoltre, il concentramento in una sede più grande di un numero di magistrati più elevato potrebbe agevolare un superiore grado di specializzazione dei medesimi, oltre che meglio rispondere alle esigenze poste dal processo penale (anche in termini di incompatibilità).
Con riferimento all’importanza dei principi introdotti dal summenzionato art. 9 del D.L. n. 98/2011 ed all’inderogabilità della loro urgente attuazione non milita solo il buon senso e la diligenza del buon padre di famiglia. Anche recentissimamente si sono registrati, al riguardo, puntuali interventi della politica. Ci. riferiamo, ad esempio, alle dichiarazioni rese a La Stampa dal Sen. -Enrico Morando, nel corso di un’intervista pubblicata lo scorso 12 aprile, il quale, alla domanda se si farà mai la revisione della spesa, ha risposto che è la riforma, la vera rifirma strutturale. Fare sul serio la revisione integrale della spesa pubblica significo rigiustificare ogni euro di spesa, ripartendo dal momento in cui si era deciso di spenderlo per analizzare se quell’investimento riveste ancora un interesse generale, se mantiene comunque una giustificazione o se sia oramai superato da nuovi obiettivi.”.
Ma ci riferiamo anche al tambureggiante richiamo dell’Esecutivo, proprio in queste ore, alla cosiddetta “spending review” per “la definizione dei fabbisogni standard propri dei programmi di spesa delle amministrazioni centrali dello Stato.”, alla quale abbiamo già fatto esplicito riferimento nelle pagine precedenti..
Dunque, il controllo continuo e, se del caso,- la revisione della spesa, anche con riferimento ad un investimento continuo di interesse generale qual è quello destinato al servizio giustizia, rappresentano l’attività costante e propedeutica per poter ragionevolmente foimulare una qualsivoglia ipotesi di riforma e riorganizzazione del medesimo.
Non è, però, soltanto l’art. 9 del D.L. 98 ad indicare le linee di intervento. Vi concorrono, infatti e con specifico riferimento all’efficienza del sistema giustizia, anche le previsioni recate dall’art. 37 del medesimo Decreto. In forza di tale norma, i capi degli Uffici giudiziari devono, sentiti i rispettivi Consigli degli Ordini degli Avvocati, programmare gli obiettivi di rendimento e quelli di riduzione della durata dei procedimenti.
Non può sfuggire che esista una stretta correlazione fra il miglior esercizio delle giurisdizione conseguibile e gli oneri direttamente connessi a tale attività ed a tali traguardi. Lo ricorda, infatti,’ l’obiettivo stesso della delega, costituito dalla riorganizzazione della “distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari al fine di realizzare risparmi di spesa e incremento di efficienza”, sicché anche la rivisitazione della geografia giudiziaria non potrà sottrarsi al rispetto rigoroso delle regole di indagine e programmazione che il decreto di stabilità finanziaria del luglio 2011 ha tracciato.
Alla luce di quanto sopra, il metodo adottato dalla Commissione di studio istituita dal Ministro della Giustizia per l’elaborazione di proposte attuative della delega, desumibile da un documento curiosamente conosciuto attraverso la stampa economica quotidiana anziché per il tramite di dovuti canali istituzionali, appare parziale ed eccessivamente prudente rispetto alle norme vigenti. Essa infatti, nel ricordare che “i principi e criteri direttivi sono già stati valutati dal legislatore come idonei a conseguire le due finalità di economia e di efficienza, senza quindi che tale idoneità possa più essere messa in discussione”, ha poi omesso e/o trascurato in ogni momento del, pur apprezzabile ed articolato, lavoro svolto qualsivoglia riferimento al profilo delle spese. E ciò sia che si tratti di quelle che, in ossequio alle disposizioni dell’art. 9 anzidetto, dovranno essere monitorate dal Ministero nel corso del presente anno e che potrebbero anche essere ragionevolmente ridotte, sia di quelle che dovranno essere sostenute, in termini di inevitabile investimento per adeguare le strutture esistenti ai nuovi carichi di lavoro che si vorrebbero trasferire nelle sedi “accorpanti”. ovvero per acquisirne di ulteriori.
La carenza strutturale del lavoro e a nostro parere evidente laddove (pag. 2), nel richiamare quale criterio operativo la riduzione degli uffici giudiziari di primo grado, trascura la doverosa articolazione di questi criteri con il “perseguimento delle finalità di cui all’art. 9 del decreto legge 6 luglio 2011 n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011 n, 111”.
Per quanto sopra, è errato affermare che “la modalità (e quindi l’entità finale) della riduzione è indicata direttamente dal legislatore, e tocca, astrattamente, tutti gli uffici non aventi sede in capoluoghi di provincia.” .
E’ vero, viceversa, che il legislatore ha configurato l’esecuzione della delega nel quadro più ampio del perseguimento delle finalità poste dall’art. 9 anzidetto per il contenimento della spesa pubblica e che, in tale ottica, la riduzione eventuale degli uffici giudiziari di primo grado ha dei limiti invalicabili (non meno di un Tribunale per Provincia, non meno di tre Tribunali per Distretto, senza che ciò comporti, però, l’obbligo di istituire una terza sede laddove ve ne siano solo due).
La definizione dei parametri che, secondo la Commissione, potrebbero essere utilizzati per l’individuazione degli uffici di primo grado da sopprimere è quindi la risultante, per un verso, di postulati (il bacino di utenza ottimale, il numero di giudici minimo per ogni tribunale), e sotto altro profilo, del dato medio dei procedimenti sopravvenuti (di qualsivoglia specie) e del carico medio dei procedimenti medesimi per ciascun giudice.
Nessuna indagine, invece, parrebbe essere stata svolta in ordine ai costi oggi sostenuti per il servizio, al netto delle spese del personale, e nessun approfondimento è stato sviluppato nel dettaglio, con attenzione ai criteri con i quali le spese vengono assunte e sostenute.
Come sappiamo, lo Stato subisce, di fatto, questi oneri, in quanto, in forza della Legge n. 392 del 24 aprile 1941, essi vengono obbligatoriamente attribuiti ai Comuni. Tale principio, però, non è di per sé motivo per ritenere che quelle risorse non potrebbero essere convenientemente ridotte, a parità di qualità del servizio, ovvero diversamente allocate, perché su di esse non viene effettuato, né all’origine, né in sede di rendiconto alcun controllo di congruità e convenienza. Tutte queste spese, quindi, vengono semplicemente subite, il che contraddice non solo i principi introdotti dalla legge di stabilità del luglio 2011, ma anche il dovere di ogni pubblica amministrazione di ottimizzare la spesa che è chiamata a sostenere per rendere il servizio al quale è chiamata.
In ordine, peraltro, ai dati dell’attività svolta e delle spese conseguentemente sostenute dai Tribunali ubicati in sedi non capoluogo di provincia, quelli fin qui acquisiti dalla Commissione del Consiglio Nazionale Forense costituiscono già un significativo ed attendibile campione dell’efficienza media e del relativo costo medio sull’intero territorio nazionale.
Essi, ad esempio, testimoniano, come è già stato precisato nel documento diffuso il 29 novembre 2011, che:
– i 48 Tribunali presi in esame impiegano 526 magistrati togati a fronte di un organico di 647;
– sia in materia civile e penale, i procedimenti esauriti sono stati numericamente superiori a quelli sopravvenuti. Risultano infatti essere stati esaurito, nel civile, 213.481 procedimenti a fronte di 209.181 sopravvenuti; nel penale, 281.050 procedimenti esauriti a fronte di 276.160 sopravvenuti;
– la spesa complessivamente sostenuta è stata di poco superiore ai 25 milioni di euro, al netto delle spese per il personale dipendente.
Per quanto sopra, è dunque evidente che i Tribunali sub provinciali non possono essere considerati complessivamente una sacca di inefficienza del sistema giustizia e che quindi ad essi non può addebitarsi né il ritardo di risposta alla domanda di giustizia che tanto, e giustamente, preoccupa il Governo, né se ne può presuppone acriticamente l’antieconomicità.
Alla luce di quanto dianzi esposto, il Legislatore, sia che si tratti del Governo delegato, sia che, melius re perpensa, il Governo ritenga necessario rinunciare alla delega con un decreto legge del tutto legittimo, proprio a causa dei tempi da impiegare per l’acquisizione dei dati e la realizzazione dei lavori preparatori, ogni intervento volto al miglior funzionamento della giustizia di primo grado non potrà prescindere dal rispetto del principio introdotto dall’art. 9 del D.L. n. 98/2011 e, quindi, dal procedere preliminarmente nel corso del corrente anno, purtroppo in parte già trascorso, all’acquisizione di tutti i dati relativi all’attività svolta dai tribunali italiani, raggruppandoli, in ossequio al criterio recato dalla lettera a) dell’art. I della Legge n. 148/2011, in ragione delle dimensioni: sub provinciali, provinciali e distrettuali.
Per ognuna delle anzidette circoscrizioni dovranno essere accertate le spese sostenute, sulla base dei rendiconti delle Commissioni manutenzione e secondo ulteriori, eventuali evidenze, al netto, vista la lettera g) del succitato articolo, delle spese relative al personale. Dette spese dovranno essere oggetto, nell’immediato e da parte di apposita Commissione, di verifica sotto il profilo della congruità e della razionalità dell’impiego.
Sulla scorta degli attuali dati rappresentativi dell’attività svolta, che i soggetti della giurisdizione dovranno comunque poter avere a disposizione, valutare ed eventualmente sindacare, sarà possibile accertare il livello delle rispettive efficienze, delle spese che, al riguardo, vengono sostenute e dell’eventuale rideterminazione delle stesse in ossequio al principio, inattuato, del controllo di gestione di tutta l’attività pubblica.
Acquisito e valutato quanto sopra, si dovrà affrontare il problema della migliore e possibile. organizzazione del lavoro da porre a disposizione dell’attività giurisdizionale, anche con riferimento alle aree metropolitane.
A tate riguardo, la riflessione della Commissione ministeriale sull’accorpamento di eventuali sedi distaccate limitrofe ai medesimi, con creazione di nuovi Tribunali, ovvero l’accorpamento di dette Sezioni alle circoscrizioni limitrofe, costituiscono un elemento rilevante del metodo di lavoro che chiediamo venga quanto prima adottato.
Resta comunque fermo, comunque, il rispetto dei principi costituzionali che presiedono alla medesima, di cui agli arti. 3, 24 e 111 della Costituzione, né si potrà trascurare che, in un Paese civile, la tutela dei diritti non risponde a Mere convenienze economiche, bensì ed in primo luogo ad ineludibili esigenze sociali. Va pertanto ricordato che la stessa delega richiama, fra i criteri da utilizzare per una corretta attuazione della medesima la “situazione infrastrutturale” del bacino di utenza, che ben introduce il dovere di attenzione al tessuto industriale e produttivo del medesimo, ed il livello di criminalità organizzata ivi ravvisabile.
Ancora, ma solo dopo l’ultimazione degli approfondimenti anzidetti, potrà essere affrontata la ragionata riduzione degli uffici giudiziari di primo grado (Uffici dei Giudici di Pace, Sezioni distaccate di Tribunale, Tribunali sub provinciali), anche intervenendo sui confini territoriali delle circoscrizioni, fermi restando, in adesione all’indirizzo prescelto dalla Commissione ministeriale, i confini distrettuali.
In tale contesto e sempre nel rispetto del principio di destinare con ragione la spesa pubblica, ogneventuale intervento di ridefmizione dei confini, di soppressione e/o accorpamento di sedi dovrà contemplare i nuovi investimenti da affrontare e la loro oggettiva convenienza, anche in termini di efficienza del servizio.
Per quanto sopra, anche a voler prescindere, in questa sede, dalla possibile incostituzionalità della legge delega, che ha introdotto in una legge di conversione temi ultronei rispetto a quelli trattati nel decreto legge convertito, va da sé che una diversa attuazione della delega ne costituirebbe, contestualmente, la mancata ottemperanza.
Il Coordinatore della Commissione
per la Revisione della Geografia Giudiziaria Cons. Avv. Enrico Merli