“IL SISTEMA MONTANTE HA OCCUPATO MILITARMENTE LE ISTITUZIONI REGIONALI”

Il lavoro, molto lungo, della Commissione Antimafia regionale, presieduta da Claudio Fava, sul cosiddetto “sistema Montante”, l’ex presidente di Confindustria Sicilia, è giunto a conclusione. Oggi è stato presentato a Palazzo dei Normanni i risultati delle indagini svolte e la relazione conclusiva votata all’unanimità. “Siamo di fronte a un sistema che non riguarda solo Montante – ha detto – ma è un sistema a cui tanti hanno dato benevolenza e complicità. Un sistema che è stato protetto. Una protezione che ha attraversato tutti i livelli istituzionali, fino ai punti più apicali”.

IL SISTEMA MONTANTE HA OCCUPATO LE ISTITUZIONI DIETRO LO SCUDO DELL’ANTIMAFIA. Una conclusione pesantissima, basta cogliere alcuni passaggi: “Un governo parallelo che ha occupato militarmente le istituzioni regionali e che ha spostato i luoghi della decisione e dell’indirizzo politico fuori dai palazzi. Tutto questo utilizzando la lotta alla mafia come salvancondotto, la chiave che avrebbe dovuto spalancare ogni porta. Una antimafia dei padroni e degli affari”.  “Siamo di fronte a un sistema che non riguarda solo Montante – ha detto – ma è un sistema a cui tanti hanno dato benevolenza e complicità. Un sistema che è stato protetto.

UN PEZZO DI PUBBLICA AMMINISTRAZIONE E’ STATO ASSERVITO IN MODO MILITARE.  Prosegue Fava:”Un pezzo di pubblica amministrazione è stato asservito in modo militare, pretendendo che l’Assessorato regionale alle Attività produttive fosse una propaggine degli interessi di Confindustria. Tutto questo con l’intervento della burocrazia regionale. Gli assessori, infatti, cambiano ma ciò che conta è l’aspetto amministrativo”.  “A questo proposito – ha aggiunto – abbiamo potuto verificare due metodi utilizzati nei confronti dei dirigenti: quelli da premiare perché disponibili all’obbedienza e quelli che andavano cacciati via. Liste di proscrizione che venivano elaborate a tavolino, in cui si decideva chi avrebbe dovuto lasciare l’assessorato”.

E CROCETTA?  “Avremmo voluto chiederglielo… ma non è stato possibile ascoltarlo. La sensazione è che fosse più un esecutore di progetti che andavano oltre l’orizzonte del suo governo”. Secondo Fava il governatore di quegli anni “serviva a controllare tutto ciò che poteva essere controllato sotto il profilo politico e amminsitrativo”.

L’INFORMAZIONE.  “Pochi giornalisti si sono lasciati sedurre dal piacere di frequentare insieme con Montante la piccola aristocrazia affaristica e istituzionale italiana – le parole di Fava -. Tanti, però, hanno mantenuto la schiena dritta e hanno rischiato perchè quando si occupa in forma militare e con un governo parallelo la Regione non si fanno prIgionieri. I giornalisti che non accettavano i “consigli” diventavano “nemici”.

L’AMICO ANGELINO ALFANO. Dopo 10 mesi di lavoro e 49 audizioni, la commissione presieduta da Claudio Fava ha evidenziato anche l’intreccio fra l’ex paladino della legalità ed esponenti istituzionali di altissimo livello: ministri, rappresentanti di spicco delle forze dell’ordine. In commissione è stato sentito anche l’ex titolare del Viminale Angelino Alfano, che non ha rinnegato la sua amicizia con Montante:  “Io ho interloquito da siciliano con un’icona: cioè lui era creduto! E più era creduto, più diventava credibile, e più diventava credibile più era creduto”, ha spiegato l’ex ministro. Che, quando Montante era già indagato per mafia, lo ha voluto all’agenzia per i beni confiscati e non ha fatto poi nulla per rimuoverlo.

“La nomina all’agenzia? Fu un’idea mia. Immaginai di mettere un siciliano, un anti mafioso, il responsabile della legalità di Confindustria nazionale  – ha detto Alfano – e, al tempo stesso, uno di comprovata, a quel tempo, competenza manageriale. Poi, venti giorni dopo, c’è stata la rivelazione del segreto istruttorio da parte del giornale e se violavano il segreto istruttorio venti giorni prima non lo nominavo”.

Alfano afferma che nessuno lo aveva informato di quell’imbarazzante pendenza:  “Qualcuno avrebbe dovuto dirmelo, avrebbe dovuto dirlo al Presidente del Consiglio, avrebbe dovuto dirlo al Ministro dell’economia. Noi avremmo dovuto saperlo. Ma la legge lo impedisce. E se qualcuno ce l’avesse detto, avrebbe commesso un reato penale”.

 LE CENE CON MAGISTRATI E PREFETI.  L’ex prefetto Carmine Valente,  cita di nuovo Alfano. Parla delle visite a casa dell’allora presidente di Sicindustria: “Qualche volta sono stato anche da solo ma c’è stato Lari con me, c’è stato il presidente della Corte d’Appello Cardinale, c’è stata la Sava e quando è arrivato una volta a Caltanissetta, in visita, il vicepresidente del CSM, a casa sua (di Montante, ndr) c’è stata una cena con tutti i vertici della magistratura siciliana, erano quindici persone tra cui c’ero io… Lui era anche amico del ministro, amico di Alfano, lo chiamava e qualche volta me l’ha anche passato ed io ho parlato con Alfano. Con la Cancellieri aveva dei rapporti anche pregressi”.

I commissari chiedono cosa si dissero il prefetto e Alfano in quella conversazione datata 18 dicembre 2013: “Montante – la risposta di Valente – mi passò Alfano per farmi dire dal ministro che si poteva concludere la mia situazione a Caltanissetta a breve”.

Era così potente, il guru dell’antimafia, da fare da intermediario con il capo del Viminale sulla rotazione dei prefetti. Segno eloquente di quello che è stato il sistema Montante, negli otto anni in cui ha determinato i destini delle istituzioni. Siciliane e non.