IL “NO OIL” UNISCE L’ITALIA. IL PAESE UNITO CONTRO LE TRIVELLE PETROLIFERE

Se tutti i progetti andassero in porto, nel giro di poco tempo le piattaforme di estrazione italiane passerebbero dalle attuali nove a un’ottantina.

Da qualche tempo l’Italia è più unita. Il comuine denominatore è la lotta alle trivellazioni. Scattano le contestazioni che si estendono su tutta Italia. Contestazioni alle norme contenute nel decreto Sviluppo del governo Monti, il cosiddetto decretp Passera.

Decreto che ha sbloccato decine di richieste di autorizzazione per la ricerca di idrocarburi in terra e in mare. Martedì 9 aprile è stato il governatore della Sicilia, Rosario Crocetta, a promettere di battersi “contro le perforazioni off-shore e per la tutela del mare del Canale di Sicilia”. Il 13 aprile la protesta ha come centro l’Abruzzo. 

Ma le manifestazioni si moltiplicano in tutta Italia, e uniscono le maggioranze politiche alle opposizioni, fino alle associazioni non solo ambientaliste.

“In Italia», afferma Giorgio Zampetti, geologo, responsabile scientifico di Legambiente, “per la ricerca del petrolio le grosse compagnie pagano circa 5-6 euro a kmq, mentre la media mondiale è intorno a cento”.

Quanto alle royalties, secondo Marco Donmarco, autore del volume Trivelle d’Italia, in Norvegia lo Stato preleva in diritti e compensazioni il 78%, nel Regno Unito dal 32 al 50%, in Canada il 45%. In Italia, ci si accontenta: il 7% sul petrolio estratto in mare, il 10% per quello prelevato in terraferma. Ecco quindi la ragione dei 22 permessi di ricerca attivi, delle 36 richieste di nuovi permessi, delle undici istanze di “coltivazione in mare”.

Se tutti i progetti andassero in porto, nel giro di poco tempo le piattaforme di estrazione italiane passerebbero dalle attuali nove a un’ottantina.

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