Il comandante del peschereccio mitragliato dai libici: “Non tornerò mai più in mare”

MAZARA DEL VALLO. Ha visto la morte in faccia il comandante del peschereccio Aliseo, Giuseppe Giacalone. “Il nostro appello è al Governo: nelle missioni in Libia parli anche della pesca. Anche noi siamo cittadini italiani che, con fatica, cerchiamo di guadagnarci da vivere. Ma rischiare la vita è troppo e ormai ho deciso di smettere”, dice all’Ansa. Una terribile avventura che non è sfiorata in tragedia per l’intervento tempestivo della Marina Militare italiana, giunta in soccorso del peschereccio con la fregata Libeccio e un elicottero.

Ad accogliere in banchina l’equipaggio del peschereccio, oltre al sindaco Salvatore Quinci e al vescovo di Mazara del Vallo Domenico Mogavero, che addirittura è salito a bordo della motovedetta della Guardia Costiera per salutare i marittimi prima ancora del loro arrivo in porto, i familiari dei sette uomini d’equipaggio. Tra di loro anche la moglie del comandante Giuseppe Giacalone, Nuccia, e il figlio Alessandro, che è anche l’armatore dell’imbarcazione.

Il capitano Giuseppe Giacalone  è scosso, ha la testa bendata e una maglietta sporca di sangue a causa delle ferite provocate dalle schegge del finestrino della cabina, frantumato dai colpi di mitraglia sparati dai militari libici.

In porto anche i carabinieri della Scientifica di Trapani per salire a bordo per effettuare i rilievi dopo che la Procura di Roma, competente per i reati commessi all’estero, ha aperto un fascicolo sull’assalto da parte della motovedetta libica delegando le indagini al Ros. Presente, in rappresentanza del governo regionale, anche l’assessore alla Pesca Toni Scilla.

“Questa vicenda dimostra che c’è un pezzo di Guardia libica che non risponde al governo. Chiediamo al governo italiano un gran lavoro di diplomazia affinché anche la nostra marineria nel Mediterraneo abbia la giusta sicurezza”, ha detto il sindaco di Mazara del Vallo Salvatore Quinci. Il sindaco andrà a Roma per incontrare martedì il ministro della Difesa Lorenzo Guerini e quello dell’Interno Luciana Lamorgese per un esame della situazione della marineria mazarese che sollecita una maggiore protezione nell’attività di pesca al largo delle coste nordafricane da parte delle nostre autorità.

“I libici si sono avvicinati alla nostra imbarcazione e hanno iniziato a sparare ad altezza d’uomo, ho contato più di cento colpi, i vetri in frantumi del finestrino mi hanno investito in pieno, un proiettile mi ha sfiorato la testa. Così ho visto che perdevo sangue”. Il comandante dell’Aliseo Giuseppe Giacalone racconta all’ANSA le fasi drammatiche dell’abbordaggio avvenuto giovedì davanti alle coste libiche dopo essere uscito dalla Capitaneria di porto di Mazara del Vallo. Due ore di interrogatorio e poi via verso casa, per il pranzo con la famiglia.

“Giovedì pomeriggio stavamo recuperando le reti e via radio la nave della Marina militare italiana ci ha avvisato di puntare la prua verso Nord e navigare a massima velocità – racconta Giacalone – abbiamo chiesto il perché, ma non ci è stato riferito. Dopo un’ora abbiamo deciso di andare verso la Grecia. Così ho chiesto al cuoco di preparare il pranzo e poi via verso Nord-est”.

“Dopo due ore di navigazione mi sono accorto che sulla nostra testa sorvolava un elicottero della Marina militare – racconta – mi sono affacciato dalla porta sinistra della cabina di comando e mi sono accorto che c’era una motovedetta libica che veniva verso di noi”. Un ex mezzo della Guardia di Finanza che l’Italia ha donato nel 2018 alla Libia per il controllo anti immigrazione.

“Viaggiavano a una velocità di 35-40 nodi, ho chiamato via radio la Marina Militare comunicando cosa stava succedendo. I libici si sono avvicinati e hanno iniziato a sparare ad altezza d’uomo. Ho richiamato la Marina e, a quel punto, mi è stato riferito di fermare i motori”.

I militari libici sono saliti a bordo, “erano tre, armati”, dice il comandante. Paura di finire sequestrati. “In quel momento avevo vivo il ricordo di cosa ha vissuto mio figlio Giacomo rimasto sequestrato 108 giorni a Bengasi, mi è crollato il mondo addosso”, dice Giacalone. Poi la decisione della Guardia Costiera libica di liberare l’Aliseo: “il comandante mi diceva “sorry, sorry”, quasi a scusarsi di quello che avevano fatto”, riferisce Giacalone.

“Non tornerò più a mare, a costo di bruciare il libretto di lavoro, la mia famiglia è distrutta. Oramai sono stanco. Giuseppe Giacalone pescatore è morto”.