I 70 ANNI DI “IN NOME DELLA LEGGE”, IL FILM IN CUI LA MAFIA SCENDE A PATTI CON LO STATO

Tempo di celebrazioni, a Sciacca, per uno dei primi film sulla mafia del cinema italiano. “In nome della legge” del regista Pietro Germi, uscito nel 1949, venne girato interamente a Sciacca, tratto dal romando “Piccola Pretura” a sua volta primo libro sulla mafia, scritto dal magistrato Giuseppe Guido Lo Schiavo e ispirato alla sua esperienza di pretore in un paesino dell’entroterra siciliano.

I 70 anni di “In nome della legge” e del libro che ha attratto l’attenzione di Germi,recentemente ristampato dalla casa editrice saccense “Aulino”, sono stati al centro di una serata di “Letterando in Fest”, la manifestazione in corso a Sciacca.

Letteratura e cinematografia assieme per parlare del primo film importante di Pietro Germi, poi diventato uno dei pilastri della cinematografia neorealistica italiana, che in questo lavoro venne coadiuvato nella sceneggiatura addirittura da Federico Fellini e Mario Monicelli.

In nome della legge” mostrava una Sicilia arretrata e omertosa dove lo Stato era quasi totalmente assente, dove la vita quotidiana veniva scandita dai ritmi dettati dai mafiosi del tempo. Una mafia che il resto d’Italia ancora non conosceva, quella arcaica e rurale che nel film veniva ostacolata da un giovane e coraggioso pretore interpretato da Massimo Girotti.

Il finale è per certi versi sconvolgente e discutibile per chi sa quanto male ha fatto la criminalità organizzata alla nostra isola in quel periodo e nei successivi decenni: In “In nome della legge” la mafia collabora con il magistrato coraggioso, dunque con la legge, e si mostra come ragionevole e rispettosa di quell’uomo che cercava di combattere prevaricazione e omertà. In realtà quegli erano gli anni in cui la mafia sparava e uccideva con ferocia chi si schierava al fianco della povera gente, vedi il caso del sindacalista Accursio Miraglia, assassinato solo un anno prima che Germi girasse le scene di “In nome della legge”.

Un film che mostra la Sciacca alle porte degli anni Cinquanta, con quell’apparato urbanistico di origine araba rimasto sostanzialmente intatto, una pellicola che rimane appello alla legalità e alla giustizia sociale che nella nostra isola non sono ancora complete conquiste.

Giuseppe Recca