GOVERNO SENZA MAGGIORANZA? SBAGLIATO IL PARAGONE CON IGNAZIO MESSINA
Il sindaco sembra entrato in un cul de sac. La città ha bisogno dell’ampio sforzo sinergico tra le parti politiche
Editoriale di Filippo Cardinale
Un errore politico che Fabrizio Di Paola può fare è quello di sovrapporre il contesto politico della sindacatura di Ignazio Messina alla sua. Messina ha governato senza maggioranza, è vero. Non lo può fare Di Paola per una ovvia motivazione contestuale. Ignazio Messina rappresentava la costola nata dalla “Primavera palermitana”, con la Rete di Leoluca Orlando, appoggiata dai teologici gesuiti, Sorge e Pintacuda. La Rete era di rottura con il sistema della cosiddetta prima Repubblica. Orlando, da ex democristiano, ruppe il cordone ombelicale con quel mondo politico. Lo fece anche Ignazio Messina sbarcando a Sciacca e conquistando il consenso degli elettori saccensi. Messina giungeva dopo il terremoto di tangentopoli.
Il giovane Messina non aveva la sponda di partiti tradizionali, nei confronti dei quali la lotta era serrata anche con un linguaggio duro e sfociato in querele. Ignazio Messina aprì la stagione degli Lsu, idea che può essere discussa, ma che produsse l’occasione di centinaia di persone a prestare lavoro, seppure con orario ridotto, alle dipendenze del Comune. Si aprì una ampia stagione di cantieri scuola. Anche questa occasione di lavoro. Tentò una “rivoluzione” tra la classe dirigente comunale. Dapprima riuscita, poi smorzata. Ma questo è un argomento duro da affrontare.
Oggi, il contesto politico è diverso da quello degli anni novanta. Immaginare che Fabrizio Di Paola possa governare senza maggioranza è cosa priva di senso pratico e politico. Senza dimenticare che, a causa di continui tagli dei trasferimenti statali, il sindaco è costretto ad aumentare la tassazione locale. E quando si tocca il portafoglio dei cittadini, la questione scotta.
Il consenso ricevuto da Fabrizio Di Paola è frutto di una valutazione da parte dei saccensi che è direttamente collegabile con il profilo dello stesso Di Paola. Decisionismo, autorevolezza, determinazione, sono questi elementi che hanno attribuito al sindaco il consenso necessario per essere eletto. Ma gli avvenimenti di questi mesi, i tentennamenti a risolvere la crisi che attanaglia la maggioranza – spesso tenuta nascosta, spesso ridimensionata, sovente ritenuta chiusa- le ultime scelte nel metodo della scelta di nuovi assessori e di assegnazione della delega di vice sindaco, hanno dato una forte scossa all’impianto programmatico di Di Paola, l’uomo della svolta, l’uomo della pacificazione sociale.
Oggi, l’indice di gradimento elettorale per Di Paola è affievolito. La sua maggioranza non c’è più, si è sgretolata inesorabilmente per i metodi usati dal primo cittadino. Basta leggere la nota di Patto per il Sud-Sciacca Terme. Basta leggere ciò che dice Mario Turturici. Basta leggere quel clima sorto all’interno della maggioranza, dove diversi mal di pancia ci sono, ma ancora non resi evidenti per ragioni di opportunità. Si ha la sensazione che il primo cittadino si sia infilato in un cul de sac, dal quale uscirà difficilmente.
Prendendo in prestito un paragone calcistico, il sindaco appare come una squadra che non riesce a fare goal, che sbaglia l’atteggiamento tattico sul campo, che non riesce a creare una geometria di gioco, che ha uno spogliatoio in continuo litigio. Una squadra chiusa in se stessa e che subisce gioco altrui. Si renda conto della realtà, della posta che c’è in gioco.
Si renda conto che la città ha delle attese che non possono essere deluse da chi ha un profilo alto come Fabrizio Di Paola, di spessore morale indiscutibile, di portatore di alte capacità dialettiche e professionali, di storia politica accumulata negli anni. La città è in cerca di quel Fabrizio Di Paola che ha conosciuto da consigliere comunale, da presidente del Consiglio comunale, da attrattore di consenso durante le numerose campagne elettorali che gli hanno tributato altissimi consensi. Traguardi importanti mancati sempre per strategie perverse di altri. Ma oggi, è lui in prima persona a elaborare le strategie, con se stesso.
Stavolta è lui a tenere le redini. Ma non sembra. Ha assunto scelte politiche che contengono una logica difficile da intravedere da percepire, da leggere.
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