Giornata della memoria 2022 : “Shemà ” Ascolta, Uomo

Pubblichiamo un testo dedicato al giorno della memoria a cura di Bia Cusumano. La docente e scrittrice prossimamente comincerà una rubrica settimanale di racconti che sarà pubblicata ogni domenica sul nostro giornale.

Ogni anno giunge, forse in uno dei mesi più lunghi, proprio perché la memoria è fibra che non vuole sbiadire e lotta contro il tempo del cosmo, contro le sue leggi ingiuste, per restare, aggrappata alla carne dell’uomo, aggrappata perché l’uomo serbi traccia imperitura dell’orrore e possa fermarsi un attimo prima di compierlo ancora, La giornata della memoria.

Giunge a ricordare, ed è un “ricondurre al cuore” nel senso etimologico del verbo, l’abisso che fu. Botola oscura, da cui non si fugge, si resta impinti e prigionieri a vita. Prigionieri e carnefici allo stesso tempo. Perché non basta non compiere il male per non essere colpevoli; si è altrettanto colpevoli se indifferenti, permettendo che ciò accada. E quindi, in quel triste giorno della memoria, non ricordiamo solo il male perpetrato contro gli ebrei, i rumeni, gli zingari, i gay, contro “i diversi” della terra, ricordiamo il male che ognuno di noi non ha saputo non scegliere che accadesse sotto i propri occhi distratti, superficiali, lontani, assenti come se il male dell’altro non fosse pure il proprio e non ci toccasse solo perché qualche centimetro più in là o qualche molecola appresso. E sempre mi giunge addosso, e mi attraversa le viscere, come se mi cadesse da un Cielo vicino, troppo vicino da non sentirne il peso, lui, Primo Levi, lo scrittore, il poeta, il chimico, l’uomo che ebbe il coraggio di dichiararsi ebreo e non riparare da partigiano tra le montagne della Valle D’Aosta per salvarsi la vita e la vita poi se la tolse per il coraggio disperato di non potersi perdonare di essere sopravvissuto, mentre sotto i suoi occhi impotenti il male si compiva. Da uomo che ha tanto da dire oggi più che mai, si alza la sua preghiera accorata a questa umanità così vile, così codarda, così indifferente che non conosce più l’amore: “Shemà”. Ascolta, uomo, ascolta. Impara ad ascoltare il dolore dell’altro, a sentirlo tuo, impara a non essere colluso solo perché credi di non averlo compiuto tu quel male eppure non hai mosso un solo dito mentre gli altri lo compivano sotto i tuoi occhi. Perché i tuoi occhi indifferenti sono state le mani dell’aguzzino che ha torturato, ucciso, sequestrato, violentato, bruciato, seviziato la vita di altri tuoi fratelli, esseri umani come te. E mi giunge Primo Levi ogni anno con la potenza straordinaria dei suoi versi (che voglio qui ricordare) di una delle sue poesie, La bambina di Pompei:

Potenti della terra padroni di nuovi veleni,
Tristi custodi segreti del tuono definitivo,
Ci bastano d’assai le afflizioni donate dal cielo.
Prima di premere il dito, fermatevi e considerate”.

Fermatevi dunque, potenti della terra! Dopo due anni di pandemia, ancora non avete compreso che il destino di ognuno è impresso in quello dell’altro? Che basta appena un respiro, una stretta di mano, un bacio per essere accomunati alla stessa sorte di morte? Ancora malgrado questo virus vi credete certi dei vostri potenti destini, nelle vostre comode case? Ancora credete di essere voi i padroni dei vostri giorni su questo atomo sperduto tra le galassie? Davvero ancora credete che la felicità non sia “tutta in un paniere”, come diceva Dario Fò. O, uomini della terra! Potenti ancora vi credete, dopo che un virus invisibile vi ha privato di tutto? Di abbracciare un amico, di toccare un volto, di accarezzare una vecchia madre, di annusare chi amate? Quanto la Letteratura sia attuale, quanto oggi abbia da insegnare ancora alle nostre giovani menti e ai nostri cuori l’immenso, pur nella sua umiltà infinita, Primo Levi non sono io a dirlo. Tornano ancora i suoi versi che desidero con amore donare a chi legge, come egli li ha donati a Noi. Nella sua poesia Agli amici si legge:

Di noi ciascuno reca l’impronta
Dell’amico incontrato per via;
In ognuno la traccia di ognuno.
Per il bene od il male
In saggezza o in follia
Ognuno stampato da ognuno.

Ora che il tempo urge da presso,
Che le imprese sono finite,
A voi tutti l’augurio sommesso
Che l’autunno sia lungo e mite.

Un solo destino dunque o di Orrore o di Bellezza, in questa fraterna catena umana, perché portiamo impresso in ognuno di noi, la traccia, l’orma dell’altro e in noi è stampato chiunque abbiamo incontrato per via, anche solo un attimo. La sua saggezza, la sua follia, la sua poesia, il suo dolore, restano e resteranno nelle nostre fibre. Ci salviamo, perciò, tutti o nessuno. Non vi sono vie di mezzo, non vi sono limbi in cui stare al sicuro, siate pur certi, Signori della terra, chiunque voi siate, o calzolai, o astronauti, o dirigenti o contadini. Se solo capiste questo, ogni anno piuttosto forse che ricordare la memoria dell’orrore potremmo celebrare la bellezza della Comprensione, dell’Ascolto, di quel “Shemà” che è preghiera ebraica, cattolica, musulmana, ortodossa, buddista, che importa? È Preghiera Umana. È Preghiera che si leva al cielo, che congiunge, abbraccia, lenisce, accarezza e ci restituisce l’uno all’altro, amici, come diceva Levi, solidali compagni di un unico viaggio su questo atomo che potrebbe splendere di bellezza e non frastornarci di orrore. E dunque fermatevi e considerate. Perché, come ancora Levi nella poesia Il tramonto di Fossoli: “Possono i soli cadere e tornare. A noi, quando la breve luce è spenta, una notte infinita è da dormire”.

Il mio augurio da docente è per i miei giovani alunni. Che possano loro tracciare altre vie, altri sentieri su questo pianeta messo in ginocchio da un minuscolo e invisibile virus, che possano non commettere l’errore della presunzione e della arroganza come se la vita fosse eterna e non caduca e fragile e che possano un giorno celebrare non la memoria dell’Orrore ma la Bellezza di quel “Shemà” che risuona attraverso il tempo sovvertendo ogni fine, ogni morte, ogni secolo che giunge al suo capolinea! Perché è in quell’ascolto che troveranno l’essenza del loro essere uomini e il senso profondo di essere venuti al mondo. Non per essere Padroni, non per essere Potenti ma solamente per tracciare impronte d’amore, di perdono, di fraterna tenerezza e umanissima comprensione.