Gestione pubblica dell’acqua, fallimento di un atteggiamento soltanto ideologico o una occasione per malapolitica?
SCIACCA- Questa sera il Consiglio Comunale dovrebbe trattare e forse definire – per il Comune di Sciacca – la vicenda AICA, una vicenda lunga, tortuosa e sulla quale non si è mai fatta un’opportuna chiarezza.
Ripercorriamo brevemente le tappe di questa vicenda cercando di fare una sintesi per evitare di essere troppo prolissi, per favorirne la comprensione dei consiglieri comunali, magari dei più giovani.
AICA è una società consortile pubblica, costituita cioè dai Comuni dell’intero sistema idrico provinciale, che ha preso in carico la gestione del Servizio Idrico nell’ambito di Agrigento. In realtà alcuni Comuni non aderiscono alla consortile e, si sa, per accontentare tutti – quelli di destra e quelli di sinistra – gli viene incredibilmente concesso dalla Regione.
Al momento della costituzione di AICA, che inizia con un capitale sociale di appena 20.000 euro, vi furono tanti festeggiamenti: un coro unanime di Sindaci per l’importante e rapida operazione di costituzione dell’AICA (chissà quali grandi potenzialità politiche erano convinti di trovarvi); l’ATI, in mano all’ex presidente Francesca Valenti, procedeva a passare la gestione; i sindacati a loro volta festeggiavano per la soluzione, molto dubbia sul piano della legittimità, che non si capisce come non sia stata contestata dalla Corte dei Conti siciliana contrariamente a quanto è avvenuto in molte altre regioni, relativa al transito del personale da una società privata ad una società pubblica, che di colpo diventava dipendente pubblico in violazione della norma costituzionale dell’obbligo concorsuale pubblico (e di una legge regionale del 1958 mai abolita che confermava tale obbligo).
Vi ricordate quelle frotte di sindaci in fasce tricolore che sfilavano, sgomitando per farsi riprendere dalle telecamere o che inondavano i vari media di comunicati stampa, e che rivendicavano lo storico evento di aver fatto rinascere l’acqua pubblica quale fulgido esempio che tutta l’Italia avrebbe dovuto seguire?
Tanto per dare un’idea del grande compiacimento che ne era scaturito, certamente utilizzabile sul piano politico, possiamo ricordare che Michele Catanzaro, deputato regionale del PD della precedente e della attuale legislatura, diceva – non senza una punta di emozione – nel luglio dello scorso anno che si era entrati in “una fase in cui tutti, cittadini, enti e politici, devono collaborare per il bene comune e non creare allarmismo con azioni populistiche”, ed appena qualche giorno più tardi “Il varo dell’Azienda Consortile è una grande conquista democratica che affonda le radici nella vittoria al referendum del 2011 e che eleva ai massimi livelli il coraggio e la responsabilità dei sindaci della provincia di Agrigento” e, dulcis in fundo, una battaglia vinta “frutto della guida determinata e qualificata del Presidente dell’Ati Francesca Valenti”.
Ma oggi tutte quelle facce contente non ci sono più, ma dovrebbero spiegare, magari chiedendo scusa, ai loro concittadini come hanno fatto in meno di due anni a mandare in malora quel decantato fiore all’occhiello che tutta Italia avrebbe dovuto invidiarci?
Per la verità era già tutto sufficientemente chiaro, e probabilmente era chiaro a tutti gli attori di questo scenario, che è una tragedia ma che sta prendendo le forme di una farsa. I numeri, rispetto ai quali non ci sono atteggiamenti ideologici che tengono, infatti sono stati, e sono, impietosi e si rilevano sin dall’inizio: dalla semestrale e dal bilancio consuntivo dei primi cinque mesi di attività di AICA (da agosto a dicembre 2021) emergono 1 milione e trecentomila euro di euro di passività.
Ma le pressioni politiche, si sa, diventano sempre trasversali quanto manca appena un anno alle elezioni regionali del 2022, per cui viene partorito un prestito di 10 milioni di euro ai Comuni serviti da AICA, con la legge regionale n. 22 del 3 agosto 2021. Ma la Regione si guarda bene dal violare la norma sul divieto di aiuti di stato a società pubbliche (o i cui soci sono soggetti pubblici), e cosa fa? All’articolo 2 specifica che “le somme di cui al comma 1 sono erogate ai Comuni facenti parte dell’Aica in rapporto alla popolazione residente e sono rendicontate e recuperate in cinque anni, sulla base di un dettagliato piano finanziario di rimborso annuale approvato dal Consiglio comunale”.
Cosa significa? Significa che Il prestito è “pro-quota” per i Comuni soci all’Azienda speciale consortile. Le somme saranno erogate ai singoli Comuni facenti parte dell’AICA in rapporto alla popolazione residente e saranno rendicontate e recuperate in cinque anni sulla base di un dettagliato piano finanziario di rimborso annuale approvato dal Consiglio comunale. Nel caso si verificasse un “omesso versamento delle rate” queste sarebbero recuperate nei confronti dei singoli Comuni debitori con le modalità di cui “al comma 24, dell’art. 7, della Legge regionale 17 marzo 2016 n. 3”. Vale a dire che la Regione dovrebbe ridurre pro-quota i trasferimenti che dal Fondo delle Autonomie vanno ai Comuni per finanziare servizi, anche sociali, importanti per la comunità (rimborso delle accise, quote per investimenti, ricoveri per minori e per soggetti in disagio psichico, ecc.). Da ricordare che sul prestito vi sono interessi da corrispondere.
La quota di competenza del Comune di Sciacca è di poco più di un milione di euro, per l’esattezza ci risulta 1.073.233.
Ma sul piano dell’analisi economico-aziendale vorremmo essere sicuri che AICA abbia elaborato un business plan (o piano industriale) dal quale tutti, ma soprattutto i consiglieri comunali che devono decidere ed assumersi le relative responsabilità, possano ricavare l’effettiva redditività del servizio, dato che AICA opera in regime di full cost recovery, ossia deve garantire la copertura totale dei costi tramite la tariffa applicata; e vorremo essere sicuri anche del fatto che le categorie dei costi in questo business plan, se esiste, siano state stimate con la prudenza che l’esperienza gestionale già fatta impone (anche in termini di personale); ma inoltre vorremmo essere sicuri, sopra ogni altra cosa, che le tariffe non cresceranno per mantenere in piedi il giocattolo, perché ne abbiamo abbastanza di pesanti tariffe di luce e gas e di costi dei carburanti. Vorremmo avere chiarezza anche sui circa 12 milioni di euro è il costo degli investimenti sostenuti dalla precedente gestione e non ancora ribaltati sull’utenza; quest’ultima pari a circa 12 milioni di euro che si trova tra capo e collo AICA.
Non sappiamo se corrisponde al vero ma Titano ha calcolato che AICA perde circa 400.000 euro al mese e non è nemmeno puntuale nell’onorare le proprie scadenze, nemmeno quelle relative al personale.
Ma non possiamo tacere sull’ultima pittoresca proposta del Presidente di AICA, Provvidenza, il quale ha suggerito di trasformare il prestito regionale in capitale sociale. E’ una proposta talmente strampalata che non sappiamo da dove cominciare, ma ci proveremo.
Quello che la legge n. 22 del 2021 ha previsto è un prestito di scopo, tant’è che si legge nell’art. 2 che viene disposto allo scopo “di consentire il passaggio ad una gestione ordinaria ed efficace del servizio idrico integrato nell’ambito territoriale ottimale di Agrigento, scongiurando così il verificarsi di soluzioni di continuità e pregiudizi per l’igiene e l’ordine pubblico”. Il mutuo (o prestito) di scopo è un particolare tipo di prestito con cui una parte (in questo caso la Regione) si obbliga a fornire all’altra (i Comuni) una somma di denaro (i 10 milioni) che serve per una finalità determinata nel contratto (nel nostro caso la legge vedi art. 2); la parte mutuataria (i Comuni) si obbligano non solo a restituirla con gli interessi, ma anche ad eseguire l’attività per il quale il prestito è stato concesso.
Le somme, dunque, vengono destinate ad un determinato scopo e questo diventa un obbligo ulteriore a carico dei Comuni, che va ad aggiungersi all’obbligo di restituire le rate e gli interessi.
Per non complicarci la vita il Comune di Sciacca avrebbe iscritto nel proprio bilancio un debito verso la Regione per capitale (prestito) ed interessi, ed un debito verso AICA per la quota di capitale sottoscritto, che rimarrebbe tale almeno fino al versamento della propria quota di competenza.
Ma questo aumento di capitale, ammesso che fosse ammissibile, quanto durerebbe? Quale sarebbe in questo caso la remunerazione del capitale azionario di rischio? Nel business plan questi dati sono indicati? E pensare che una consigliere comunale grillina aveva minacciato di incatenarsi se non fosse stato approvato speditamente lo statuto di AICA.
Vedremo questa sera cosa succederà.
Filippo Cardinale