FU LA MAFIA A UCCIDERE L’AVVOCATO FRAGALA’
L’omicidio Fragalà fu un delitto di mafia. E’ questa la tesi della Procura di Palermo che ha chiesto e ottenuto l’arresto di 6 persone accusate dell’omicidio del penalista palermitano Enzo Fragalà, aggredito a colpi di mazza nei pressi del suo studio nel centro della città, a pochi passi dal Palazzo di Giustizia, a febbraio 2010 e morto 3 giorni dopo il ricovero in ospedale. Lo ha annunciato il procuratore di Palermo Francesco Lo Voi nel corso di una conferenza stampa convocata per illustrare i particolari dell’indagine.
L’ORDINE PARTI’ DAL BOSS DEL MANDAMENTO DI PORTA NUOVA. Per la Procura, l’ordine di uccidere il penalista fu impartito dal boss del “mandamento” di Porta Nuova Francesco Arcuri. Gli esecutori materiali furono Paolo Cocco e Francesco Castronovo. Tutti e tre erano liberi al momento dell’arresto. Il pestaggio sfociato in omicidio fu programmato dai mafiosi del Borgo Vecchio Antonino Abate, Salvatore Ingrassia e dal boss di Resuttana Antonio Siragusa. I tre, tutti detenuti per altro, vennero indagati e arrestati in passato per l’omicidio, ma poi scarcerati.
UN MOVENTE INIZIALE FALSATO. Nella prima indagine, chiusa con un’archiviazione, era già emerso il coinvolgimento di cosa nostra nel delitto, ma il movente, poi rivelatosi falso, venne individuato in presunte avances fatte da Fragalà alla moglie di un detenuto vicino alla mafia. Pista sostenuta anche da una collaboratrice di giustizia, che, però, secondo gli inquirenti, avrebbe riferito voci messe in giro da cosa nostra per allontanare da se i sospetti. Doveva essere un’aggressione finalizzata a dare un segnale a tutti gli avvocati palermitani. Ma Cosa nostra aveva ben chiaro che il pestaggio potesse trasformarsi in un omicidio: per questo il gip, accogliendo la tesi della Procura, ha contestato ai sei arrestati accusati della morte di Enzo Fragalà l’omicidio volontario, seppure col dolo indiretto, aggravato dall’avere agito per rafforzare la mafia. I killer, che si sono accaniti sulla vittima con violenza brutale, avevano messo in conto che questa potesse morire.
GLI ESECUTORI. Secondo la ricostruzione dell’accusa – l’indagine è stata condotta dai carabinieri – gli esecutori materiali furono Paolo Cocco e Francesco Castronovo. Castronovo, che si presentò a casa del pentito Francesco Chiarello poche ore dopo il delitto, sotto choc e coperto di sangue, era incaricato da Cosa nostra di danneggiamenti e aggressioni. Sarebbe stato responsabile di un pestaggio fatto con le stesse modalità pochi mesi prima. L’ordine di dare una lezione al penalista sarebbe partito da Francesco Arcuri, boss del Borgo Vecchio che, nel 2010, era stato scarcerato da poco dopo avere scontato una condanna per mafia.
Nel corso di una intercettazione in carcere tra i capimandamento di Porta Nuova Giovanni e Giuseppe Di Giacomo emerge chiaramente che questi fossero a conoscenza degli autori dell’omicidio. Il pentito Chiarello fa poi i nomi dei responsabili e punta il dito su Francesco Arcuri, mandante, Antonino Abbate, Antonino Siragusa e Salvatore Ingrassia, già coinvolti nella prima indagine sul delitto, poi archiviata, e Cocco e Castronovo, mai indagati prima. Abbate avrebbe partecipato sia alla fase preparatoria che a quella esecutiva individuando la vittima e coprendo i killer. Stesso suolo di copertura degli assassini avrebbero avuto Ingrassia e Siragusa. Le dichiarazioni di Chiarello vengono riscontrate da una serie di intercettazioni: come quella della conversazione in cui Cocco confessa alla moglie il suo ruolo e l’altra in cui, sempre Cocco, dopo aver ritrovato una microspia a casa, rassicura il suo interlocutore di non aver mai parlato del delitto. Castronovo, invece, intercettato dice alla cugina di essersela “scansata” fino a quel momento.
(Fonte ANSA)