Elezioni, Favara è un campanello d’allarme per Sciacca

SCIACCA. EDITORIALE DI FILIPPO CARDINALE

Le elezioni amministrative appena celebrate offrono un quadro le cui pennellate fanno da profondo spartiacque con una visione della politica, da parte degli addetti dei lavori, radicata ancora su ingranaggi apparsi palesemente obsoleti, superati.

A Sciacca si vota nella prossima primavera. Ciò che è accaduto nella tornata elettorale, che si conclude con il ballottaggio del 24 e 25 ottobre, serve da monito (forse) alla classe politica saccense. Appaiono  risibili i commenti degli addetti ai lavori che vedono una “vittoria” anche quando questa non c’è. Anzi, denota una crisi profonda della politica.

La crisi profonda porta la firma dal fortissimo astensionismo. L’elettore si è stufato, e uno su due non va a votare. Il forte astensionismo, di fatto, altera e rompe il pallottoliere degli addetti ai lavori, quella politica il cui orologio si è fermato a qualche anno fa. Non esistono “zoccoli duri”, serbatoi di voti. Del domani non v’è certezza.

Il civismo ha un effetto limitato e spesso crea ulteriore confusione tra gli elettori. Ad eccezione nelle piccolissime realtà con poche migliaia di elettori. Sono state bocciate le “alleanze anomale”, nello specifico quella commistione tra Pd e Forza Italia. Una commistione che crea ulteriore confusione ma anche rigetto.

L’entusiasmo dell’alleanza Pd-M5S ha grossi limiti e si configura più come un matrimonio di facciata, con poca faccia e poco interesse, tanto fumo e pochissimo arrosto. Il M5S si è polverizzato, basta vedere i risultati delle due roccaforti Favara e Porto Empedocle dove i sindaci sono stati grillini e dove cinque anni fa hanno fatto il pieno di voti. Neppure la presenza del bel Giuseppe (Conte) ha sortito effetto. C’era entusiasmo per le “piazze piene” e le tante bandiere pentastellate. Piazze piene e urne vuote.

Del resto, il risultato di Favara è un manuale che la classe politica saccense dovrebbe prima studiare e poi imparare a memoria. La città dello squisito agnello pasquale è una cattedra universitaria, una lectio magistralis che i politici e politicanti saccensi dovrebbero tenere sul comodino e ripassarla ogni sera fino alle prossime elezioni.

Il candidato Antonio Palumbo dell’asse Pd, Comunisti, Grillini, sfiora l’elezione al primo turno incassando il 37,34% dei voti (7.541). E’ appoggiato dalle liste Favara per i Beni Comuni (comunisti), Pd e l’Altra Favara (M5S). Le tre liste apportano il 15,5%. Dunque, Palumbo porta da sé una quantità di consenso personale che è di gran lunga superiore alla somma dei voti delle tre liste. Il Pd apporta il 5,80% (1.151 voti), l’Altra Favara (comunisti) il 6,67% (1.323 voti), ciò che rimane dei grillini il 3,03% (601 voti) e non raggiunge neanche il quorum per entrare in Consiglio comunale.

Il centrodestra a Favara ha dimostrato quanto sia efficace in senso negativo la divisione. In essa rientrano a pieno titolo la superbia, la convinzione da parte di taluni di essere superiori e più forti rispetto ad altri della stessa parte politica. E così la divisione del centrodestra porta alla competizione di due candidati e di ben 12 liste. Di queste, 7 a sostegno del candidato Salvatore Montaperto e 5 per il candidato Giuseppe Infurna.

Montaperto riporta 6.970 voti (34,51%), Infurna 5.684 voti (28,15%). Ambedue gli schieramenti sommano 12.654, pari al 62,66%.

Sono fortemente convinto che a favara sia scattato l’effetto “simpatia” di Palumbo. Nel ballottaggio vale moltissimo anche perché vi è il disimpegno dei candidati delle liste la maggior parte dei quali non scenderà in campo perché hanno esaurito le loro speranze ma anche il loro compito riempitivo della lista.

Né vale, al ballottaggio, il virus che colpisce la classe politica ancorata ancora ad una cultura elettorale che non esiste più: la visione di una sommatoria di forze, dietro appannaggio di poltrone assessoriali, capace di fare da contraltare al candidato che al primo turno si è meglio classificato.

Il ballottaggio è un’altra partita e non può essere considerata una partita di ritorno. La lezione di Favara trasmette un punto fondamentale: la scelta del candidato. Una scelta che si fondi sulla identità dello stesso, sul sentiment che la gente su di esso ha.

Sciacca vive una situazione politicamente appannata. Un centrodestra non perfettamente definito e nel quale emergono diverse aspirazioni che non trovano una sintesi. Un centrodestra che fa distinguo anziché amalgama.

Ma c’è anche un Pd che porta sulle spalle cinque anni di sindacatura e un monocolore in giunta il cui risultato è ben pesato dalla gente. Non è, di certo, un peso favorevole.

Il M5S è scomparso, è rimasto il superstite Alessandro Curreri. C’è il movimento Mizzica con l’unico consigliere Fabio Termine, il quale ha sentenziato pesanti condanne sulle spalle del Pd, dell’attuale sindaco e della coalizione che sostenne Francesca Valenti. Per Fabio Termine non sarà facile dare un colpo di spugna alle sue invettive, far finta di  niente e, a braccetto con Pd e residuo pentastellato, far campagna elettorale.

Ecco perché Favara è un manuale da studiare e analizzare attentamente, nella consapevolezza che ieri non esiste più e il contesto elettorale di oggi è cambiato. La gente è davvero incazzata e lo dimostra con il 50% di astensione.

Sciacca necessita di una evoluzione politica innovativa, rompendo schemi tradizionali, mettendo in soffitta vecchi rancori, invidie e vocazione a sentenziare su tutto e su tutti. Sciacca ha bisogno di una visione che guardi per almeno un decennio la sua capacità di riprendersi e riprogrammarsi. La qualità dei servizi è talmente scadente e, a tratti inesistente, che danneggia la sua primaria stella polare da seguire: il turismo.

Siamo all’anno zero per la qualità di vita e di servizi. Serve una programmazione di lunga gittata i cui cardini devono non solo essere condivisi dalla politica ma perpetrati nel tempo. Ma a Sciacca domina la cultura di distruggere ciò che si è iniziato. Sindacatura dopo sindacatura. I risultati sono fin troppo evidenti.