DOPO LA VISITA DEL PAPA A LAMEDUSA, DUE LETTERE DELL’ARCIVESCOVO MONTENEGRO
Due lettere di mons.Montenegro dopo la visita del Papa Riceviamo e pubblichiamo le due le lettere che mons. Francesco Montenegro, arcivescovo di Agrigento, ha indirizzato rispettivamente all’Arcidiocesi di Agrigento e alle comunità ecclesiali di Lampedusa e Linosa dopo la visita di Papa Francesco l’8 luglio scorso.
“Carissimi,
nell’incontro con il Santo Padre lo scorso 8 Luglio a Lampedusa abbiamo vissuto e sperimentato una grazia straordinaria. Prima dell’inizio del prossimo anno liturgico mi riprometto di farVi arrivare delle riflessioni più attente su tutto quello che questa visita ha comportato, con delle indicazioni pastorali ben precise; con la presente vorrei semplicemente comunicarVi, “a caldo”, alcuni aspetti che mi hanno segnato e che sento il bisogno di condividere con tutti Voi.
Purtroppo il poco tempo che è intercorso fra la notizia della visita, le indicazioni ricevute, il realizzarsi della stessa (meno di una settimana) e il fatto che la celebrazione si sia realizzata di lunedì mattina non ha consentito a molti di essere presenti. Quanto prima spero di farVi arrivare una raccolta di immagini e di parole in grado di rivivere quanto abbiamo sperimentato nelle poche ore in cui il Santo Padre è stato in mezzo a noi. La prima cosa che mi ha colpito è stata la scelta di Lampedusa come meta per il Suo primo viaggio apostolico.
In questi quattro mesi di pontificato Papa Francesco ha parlato più volte di una Chiesa povera fra i poveri e in grado di ripartire dalle periferie esistenziali. Fra le tante situazioni di povertà e luoghi di periferia ha scelto proprio la nostra isola di Lampedusa. Qualcuno potrebbe dire: “La visita era destinata a Lampedusa per il fatto che lì ci sono gli sbarchi degli immigrati”. Ma forse che Lampedusa non è parte della nostra Chiesa? Se con il Suo gesto il Papa ci ha ricordato che quel luogo è importante per Lui a tal punto da sceglierlo come destinazione per il suo primo viaggio, quanto più deve esserlo per noi? È vero, ci sono le distanze; ma queste sono incolmabili quando una realtà non interessa o interessa poco; al contrario, quando scatta la molla dell’amore, le distanze si annullano.
Come prima conseguenza di quanto ha fatto il Papa abbiamo il dovere di sentire Lampedusa un po’ più al centro dei nostri interessi e, prima ancora, dei nostri cuori. L’altro elemento che mi ha segnato profondamente è stato vedere e sentire il Papa profondamente immerso nella situazione di dolore tanto degli immigrati quanto della comunità di Lampedusa. Le parole pronunciate durante l’omelia e, prima ancora, i gesti realizzati (l’omaggio floreale per i defunti in mare e l’incontro con alcuni immigrati), hanno messo in risalto la centralità dell’uomo. Forse anche noi, spesso, siamo caduti in quella che il Papa ha ricordato come la “globalizzazione dell’indifferenza”, pensando che il fenomeno immigratorio fosse un fatto di cronaca o un problema politico dalle dimensioni talmente grandi da farci ritenere impotenti. Il Papa, invece, ci ha spronati a rimettere al centro la persona umana e le sue sofferenze.
Ci ha detto che se vogliamo essere Chiesa fedele al Vangelo abbiamo bisogno di ripartire dall’uomo. Le domande che più volte ha richiamato nell’omelia hanno avuto la forza della profezia: “Dov’è tuo fratello?”, “Chi ha pianto per la morte di questi nostri fratelli?”; una Chiesa che non è attenta all’uomo è distratta rispetto a Dio. Non solo Lampedusa è parte della nostra Chiesa ma la geografia di quell’isola ci spinge a guardare in modo più attento ad alcune realtà. L’ultimo lembo di Europa è una porta alla quale bussano tanti nostri fratelli nel disperato tentativo di libertà e di vita. Quella “porta” fa parte della nostra casa; pertanto tutti noi dobbiamo stare attenti a ciò che vi accade per cercare di cogliere in questi fenomeni la “voce” di Dio.
Nel saluto che ho dato alla fine della Celebrazione eucaristica ho paragonato il vissuto degli immigrati a quello dell’esodo: la traversata del mare, la terra promessa, il bisogno di libertà … Nel Papa mi è sembrato di vedere Mosè che, con grande coraggio, si è messo davanti e ha invitato tutti a riprendere, segnandolo, il cammino. Da qui in avanti è sbagliato considerare l’immigrazione un problema o un’emergenza. È uno di quei segni che il Signore ci manda per orientare meglio la nostra vita verso di Lui. Come Chiesa agrigentina dobbiamo maturare la consapevolezza che abbiamo ricevuto dal Creatore una responsabilità grande per il fatto che ci troviamo nel cuore del Mediterraneo, a metà fra il continente africano e quello europeo.
Dobbiamo desiderare per la nostra Chiesa non solo la fedeltà al Vangelo ma anche l’attenzione alla storia e alla geografia. Sarà necessario tornare a riflettere su questo aspetto che ritengo centrale per la maturazione delle nostre comunità. Un ultimo elemento che vorrei richiamare è legato allo stile con cui si è svolta la visita. Il Papa ha espressamente chiesto che tutto si svolgesse nella massima sobrietà, senza spreco di denaro e facendo in modo che ogni cosa fosse orientata allo spirito penitenziale dell’incontro. Ci è sembrato giusto rispettare la volontà del Santo Padre ed è stata, anche sotto questo aspetto, un’esperienza molto bella che si impone davanti a noi come un vero e proprio modello da imitare.
Penso alla sobrietà nelle nostre Celebrazioni, alle scelte economiche delle nostre feste, ai tanti orpelli che si possono evitare nelle manifestazioni da noi organizzate. Proviamo a mettere a confronto quanto accade nelle nostre comunità con quanto ha vissuto il Papa e, se ci sono delle cose che stridono, tiriamo fuori il coraggio per fare delle scelte che vadano nella direzione giusta. Il Papa ci ha insegnato che si può fare una bella festa con poco perché ciò che veramente “fa” la festa è l’abbraccio di Dio con l’uomo. Lampedusa e Linosa al centro dei nostri cuori, l’immigrazione come segno per la nostra Chiesa, l’invito a uno stile sobrio; questi tre aspetti mi sembrava urgente focalizzare e consegnare alla vostra attenzione. Aiutiamoci ancora a riflettere affinché il passaggio di Dio nella nostra Chiesa, attraverso la visita di Papa Francesco, sia valorizzato in tutti i suoi aspetti. La Vergine Maria, che nel Magnificat ha saputo cantare la storia con lo sguardo di Dio, ci aiuti e ci sostenga sempre.”
“Carissimi,
a pochi giorni dalla visita di Papa Francesco vorrei raggiungerVi con questa lettera per dirVi il mio più sincero: “grazie”! Da quando abbiamo avuto la notizia di questo viaggio siamo stati presi da sentimenti di gioia e di entusiasmo, vissuti pienamente durante la giornata storica di lunedì scorso. Sento il bisogno di ringraziarVi per la grande generosità che avete dimostrato durante i giorni precedenti la visita e per il grande lavoro che avete fatto; don Stefano e don Giorgio mi hanno raccontato tutto quello che siete stati capaci di realizzare – dalle case messe a disposizione, alle pulizie dei diversi ambienti, ai tanti lavori manuali… – e, soprattutto, dello spirito con cui lo avete fatto.
Sapevo di poter contare sul vostro cuore grande perché in tante occasioni avete dato testimonianza di come si viva il Vangelo della carità, ma nei giorni scorsi avete superato ogni previsione! Se tutto è andato bene e se abbiamo ricevuto gli apprezzamenti da tutti coloro che hanno partecipato o arrivando da fuori o vedendo in tv l’evento il merito è anche Vostro. Anche il Santo Padre è rimasto molto contento del calore umano che ha caratterizzato i momenti della visita e, in particolare, la Celebrazione Eucaristica. Quello che abbiamo vissuto è stato certamente un dono grande ma per tutti noi e per la Vostra comunità, in particolare, è anche una responsabilità. In questi anni avete vissuto momenti difficili a motivo del fenomeno immigratorio e dei suoi risvolti. So bene il peso che vi siete messi sulle spalle e il prezzo che avete dovuto pagare.
Ai disagi che presenta normalmente il vivere su isole distanti dieci ore di nave dalla terra ferma si sono unite le difficoltà nel gestire un numero di presenze che, in qualche momento, ha superato quello degli stessi abitanti. Anche allora la Vostra generosità è stata grande testimoniando che quando si apre il cuore tutto diventa possibile. Il Papa, all’inizio della sua omelia, ha parlato della notizia delle tragedie in mare come di una “spina al cuore”; quante volte avete avvertito il dolore di questa spina e con quanta tenerezza vi siete adoperati per alleggerirne il peso! L’arrivo del successore di Pietro ci conferma e ci incoraggia. Ci conferma nell’impegno a testimoniare sempre accoglienza e amore per il prossimo anche in mezzo a tante difficoltà; e, al tempo stesso, ci incoraggia ad andare avanti a non fermarci di fronte ai problemi che si presentano, a non ragionare secondo le logiche di questo mondo ma secondo lo spirito del Vangelo che ci spinge a riconoscere nel volto di ogni persona che bussa alle nostre porte il volto stesso di Cristo. Sappiamo bene che il fenomeno dell’immigrazione continuerà a manifestarsi, ma da qui in avanti non ci sentiamo più soli: possiamo contare sulla vicinanza di Papa Francesco e, in Lui, di tutta la Chiesa.
Sentitevi sempre parte della Chiesa agrigentina e aiutateci a sentire ancora di più la vostra realtà come parte integrante e importante della nostra Chiesa diocesana. Il ricordo della visita del Papa diventi per tutti l’occasione per rinnovare l’impegno ad essere una comunità unita, fantasiosa nel realizzare il bene e nel promuoverlo, coraggiosa di fronte agli appuntamenti della storia e gioiosa nell’annuncio del Vangelo. Vi accompagno con la mia preghiera e Vi ringrazio ancora di cuore. La Vergine di Porto Salvo ci accompagni e ci sostenga nel cammino della vita. ”