DALL’INFERNO DEL CONTAGIO ALLA GOGNA DEI SOCIAL, LA DOTTORESSA “PAZIENTE 1” DI SCIACCA RACCONTA

“Non ho bisogno di ossigeno H24, se non alla bisogna. Ma sto bene”. La dottoressa del reparto di Medicina dell’ospedale di Sciacca è uscita dall’incubo che l’ha colpita. Un incubo che si chiama coronavirus. Era ancora l’inizio della presenza in Italia del terribile virus. Dapprima sembra una “cosa” solo dei cinesi. Quanto è distante la Cina! Ma il mondo oggi è piccolo, un villaggio grazie alla globalizzazione senza freno. E così, il virus ha viaggiato, velocemente, subdolo, senza passaporto da esibire, senza presentarsi. Si impadronisce dei corpi, in maniera subdola e veloce.

Si sta bene, all’inizio. Si dice che si è asintomatici. Cioè sembra tutto a posto. Poi i primi sintomi che ingannano poiché somigliano a quelli influenzali. Poi, all’improvviso, il virus esplode nella sua virulenza. Inarrestabile, veloce come un centometrista. Attacca i polmoni, fa mancare il respiro.

Dalla lontana Cina non poteva arrivare a Sciacca. Ne eravamo convinti. Ma il mondo è piccolo e il virus giunse anche a Sciacca. La dottoressa ne fu vittima, tanto che fu denominata “la paziente 1”. Il suo “torto” quello di lavorare in ospedale, perché medico.

Dall’ospedale saccense finì nel reparto di malattie infettive al Sant’Elia di Caltanissetta. “Passai i primi 13 giorni in isolamento- racconta- e fu il periodo più acuto. Appesa ad un filo perché rischiai di finire in rianimazione”. E mentre era in isolamento, mentre rischiava la rianimazione, voci senza freno e controllo nel cortile dei social le cucirono una sorta di lettera scarlatta. Fu messa alla gogna, idealmente lapidata e crocifissa. La si incolpava di essere stata vittima del virus e di averlo diffuso, quasi come si disperde l’incenso, all’interno della struttura ospedaliera. Quasi un disegno terroristico, da stratega di guerra biologica.

“Ho avuto paura, non lo nascondo”, racconta. E come si fa a non aver paura di un nemico invisibile, subdolo, feroce? “Ebbi tanta paura quando venne a visitarmi il rianimatore. Non venne per un saluto, venne per valutare il quadro sanitario perché ero prossima allo stadio più pericoloso, quando è necessario essere intubato, essere ossigenato con le apparecchiature”.

“Il virus è terribile- continua- inizia la sua presenza anche in modo asintomatico. Ma si fa prestissimo a passare nella fase virulenta, nella fase gravissima. Il passaggio da una fase asintomatica a quella dell’intubazione può avvenire repentinamente”.

E’ vissuta in isolamento in una stanza dell’ospedale nisseno insieme ad un’altra paziente. Collega per colpa del virus. “Ho sofferto tantissimo nel sapere la ferocia dei giudizi sui social. Hanno hanno anche insultato i miei familiari, pur avendo alcuna colpa. Ci si sente come un’untrice. E’ terribile subire l’onta, è terribile essere affetta dal virus e non avere il conforto da nessuno”.

In tale contesto infernale, la dottoressa ricorda, però, “la disponibilità dei colleghi del Sant’Elia, sono stati eccezionali”. Oltre alla terribile esperienza vissuta, adesso è stata dimessa, ha bisogno di riposo assoluto, le rimane la constatazione che “ci sono realtà sanitarie che non si sono fatte trovare impreparate, erano già adeguate all’emergenza. Altre, però, brancolano nel buio; i dispositivi di protezione personale mancano ancora dappertutto”.

Filippo Cardinale