CUTRO’, LA MAFIA E’ FORTE MA A ME LO STATO TOGLIE LA PROTEZIONE

Il testimone di giustizia, nonchè presidente dell’Associazione Nazionale Testimoni di Giustizia, torna a denunciare lo Stato che non lo garantisce più . Cutrò è stato l’imprenditore che ha denunciato la mafia bivonese e ha permesso la celebrazione del processo Face Off terminato con condanne.

“L’inchiesta dei carabinieri che oggi ha portato all’arresto di 56 mafiosi dell’agrigentino, appartenenti anche al mandamento della Bassa Quisquina e, avente legami persino con la ‘ndrangheta, ha svelato -diversamente da quanto emerso negli atti che hanno portato alla revoca delle misure speciali adottate nei miei confronti – che la mafia della montagna è ancora profondamente radicata sul territorio”, scrive in una nota.

Cutrò rivolge un plauso ai Carabinieri del Comando Provinciale di Agrigento, guidati dal Colonnello Pellegrino ed evidenzia come “dalla inchiesta emerge che uno degli arrestati, il bivonese Giuseppe Spoto, nominativo emerso anche nell’ambito del processo scaturito dalle mie denunce (Il procedimento penale face-off), è ritenuto dai magistrati non solo il reggente della famiglia mafiosa di Bivona ma anche il rappresentante, quindi il vertice, di tutte le famiglie mafiose del mandamento c.d. “della montagna”. 

“Eppure- continua Ignazio Cutrò- gli organi preposti alla mia sicurezza, tra cui la prefettura di Agrigento, le forze dell’ordine e la Procura, avevano espresso parere favorevole alla revoca delle mie misure speciali di protezione, poiché la famiglia Cutrò non correva attualmente un concreto pericolo di vita. Ora, pur esprimendo il mio plauso per l’operazione messa in atto, non posso che chiedere al Ministro dell’interno, Marco Minniti, e al nuovo prefetto di Agrigento, Dario Caputo, se intendano rivedere la loro decisione di revoca delle misure speciali di protezione, considerato che gli ultimi accadimenti suscitano non solo viva preoccupazione sulla mia sicurezza e su quella della mia famiglia, ma anche il sospetto che qualcosa non abbia funzionato a dovere”.

“Troppi si erano affrettati ad affermare che la mafia ad Agrigento era stata sconfitta e non hanno battuto ciglio sul fatto che io e la mia famiglia corriamo, alla luce di queste inchieste giudiziarie, a tutt’oggi un concreto e costante pericolo di vita”,conclude.