Crisi idrica: in Sicilia dispersione al 51.6 %. Sta peggio la Sardegna

Lo rivela uno studio dell’Associazione Artigiani e Piccole Imprese Mestre. Nell’isola fa eccezione Trapani con perdite solo del 17,2 %

In Italia ogni 100 litri di acqua immessa nella rete per usi civili ne arrivano all’utente poco meno di 58. Gli altri 42 (3,4 miliardi di metri cubi) si perdono lungo la rete idrica che in molte parti del Paese è datata e in cattivo stato di salute. Lo rileva in uno studio la Cgia.

La dispersione – spiega la Cgia – è riconducibile a più fattori: alle rotture presenti nelle condotte, all’età avanzata degli impianti, ad aspetti amministrativi dovuti a errori di misurazione dei contatori e agli usi non autorizzati (allacci abusivi). ma non tutto il Sud versa in condizioni «disastrose»: a Trapani la dispersione raggiunge il 17,2%, a Brindisi il 15,7% e a Lecce il 12% .

I nostri consumi idrici totali ammontano a 40 miliardi di metri cubi all’anno. Di questi, il 41% è in capo all’agricoltura (16,4 miliardi di mc) il 24% viene impiegato per usi civili (9,6 miliardi di mci), il 20% per l’industria (8 miliardi di mc) e il 15% per produrre l’energia elettrica (6 miliardi di mc).

La situazione più critica è in Basilicata con una dispersione d’acqua del 65,5%]. Poi l’Abruzzo (62,5%), il Molise (53,9%), la Sardegna(52,8%) e la Sicilia (51,6%). Per contro, la Lombardia con il 31,8%, la Valle d’Aosta (29,8%) e l’Emilia Romagna (29,7%). Per la realizzazione di nuove infrastrutture idriche primarie, la riparazione, la digitalizzazione e il monitoraggio integrato delle reti idriche per diminuire le perdite d’acqua, il potenziamento e l’ammodernamento del sistema irriguo nell’agricoltura e per la depurazione delle acque reflue da riutilizzare in agricoltura e nel settore produttivo, il Pnrr ha messo 4,3 miliardi di euro, più un miliardo del Mit per ridurre le perdite nelle reti di distribuzione.

«Soluzioni miracolistiche – sottolinea la Cgia – non ce ne sono, ma se vogliamo dare acqua a una parte del Paese che nei prossimi anni rischia la desertificazione potrebbe non essere sufficiente creare nuovi invasi, razionalizzare i consumi e mettere a nuovo la rete di distribuzione. Come hanno fatto con successo l’Arabia Saudita, il Kuwait, Israele e in parte anche la Spagna, non è da escludere che anche l’Italia debba puntare sull’uso dei dissalatori».

Le controindicazioni non mancano: come l’alto consumo di energia elettrica che contraddistingue questi impianti e i problemi di smaltimento dei prodotti chimici che sono usati per desalinizzare l’acqua. «Ma gli impianti di ultima generazione – conclude la Cgia – hanno, almeno in parte, superato molti di questi problemi ambientali. E sebbene i dissalatori in funzione in Italia siano di piccola dimensione, quelli fatti nell’Isola del Giglio, a Ustica e a Ponza hanno sin qui ottenuto dei risultati molto positivi».