Commercio, in Sicilia chiusi 7 mila negozi. Resiste il turismo, ma i Comuni devono migliorare i servizi
Crisi del commercio, in Sicilia spariti oltre 7 mila negozi. È il quadro sulla demografia d’impresa nelle città, tracciato ieri da Confcommercio. Tra i centri più penalizzati dalle crisi economiche che si sono susseguite nell’ultimo decennio c’è Palermo, dove sono scomparse quasi 1.700 attività, mentre Agrigento e Trapani ne hanno perse, rispettivamente 327 e 215.
Resiste il settore del turismo. Assieme a Sardegna e Puglia, la Sicilia è quella che perde meno commercio e guadagna più turismo rispetto ad altre regioni. A testimoniarlo il fatto che c’è un incremento che riguarda alberghi, bar e ristoranti, ai quali viene imposto adesso un codice identificativo per debellare l’abusivismo. Peccato che i Comuni non sempre sono nelle condizioni di creare quei servizi utili a fare ulteriormente crescere il settore turistico. In molte realtà a vocazione turistica non ci sono stati i benefici introdotti dalla legge di 15 anni fa che permette agli enti locali di istituire l’imposta di soggiorno. I soldi ricavati dovrebbero essere destinati a migliorare accoglienza e servizi al turista, ma un po’ ovunque, aggirando i regolamenti, vengono usati come bancomat per svariati interventi. Il risultato è che molte città dove l’economia turistica può coprire il vuoto lasciato dalla chiusura di negozi, aprono piccole imprese turistiche (a volte anche improvvisando) che spesso non riescono ad offrire ai clienti servizi adeguati.
A Sciacca, nel corso di un recente incontro con la commissione consiliare attività produttive, le associazioni del settore hanno proposto, oltre ad una revisione del regolamento e l’introduzione di determinati paletti, un aumento dell’imposta di soggiorno proprio per vincolare parte dei proventi esclusivamente per migliorare i servizi al turista (accoglienza, mobilità, viabilità e arredo urbano).