Certe visioni “corte” della sinistra. La netta ostilità della sinistra per Falcone
PALERMO. DI CALOGERO PUMILIA
Qualche giorno addietro, alla vigilia della commemorazione della strage di Capaci, Luciano Violante ha dichiarato che, negli anni che la precedettero, “tutta la sinistra fu contro Falcone”. L’ammissione, per la verità molto tardiva, di uno che in quel tempo fu importante protagonista, che dettò le scelte del Partito comunista nella lotta alla mafia, che, con i documenti della Commissione antimafia che presiedeva, offrì un considerevole contributo alla costruzione politico-giuridica che portò alla incriminazione di Andreotti, che ebbe un ruolo nella scelta di Caselli per la Procura di Palermo, quell’ammissione non offre nessun contributo alla storia di quegli anni.
Nel lavoro di chi indaga sui tragici eventi che precedettero le stragi con gli strumenti della ricerca scientifica, un dato che non può essere sottoposto ad alcuna revisione è proprio quello che riguarda la netta ostilità della sinistra per Falcone e il rifiuto di tutte le iniziative che, sulla base delle sue proposte, il governo assumeva per rendere più efficace la lotta alla mafia.
Le ragioni che indussero il partito di Violante a votare contro quelle iniziative introdotte nell’ordinamento, la ostilità della stampa di tutta la sinistra, le ripetute accuse di Magistratura democratica e di alcuni esponenti delle altre correnti, sono sufficientemente note e le ricorda lo stesso Violante. Egli sostiene che Falcone suscitava gelosia e invidia in molti colleghi per le sue capacità e per la presenza assidua sui mezzi di informazione, che aveva accettato l’incarico di direttore degli affari penali al ministero di Giustizia guidato da Martelli nel governo presieduto da Andreotti, quando l’ostilità tra socialisti e comunisti era molto accesa e duro era lo scontro con il presidente del Consiglio. Violante, tuttavia, dimentica un motivo non secondario del contrasto.
Falcone aveva deluso quanti puntavano anche sulla via giudiziaria per regolare i conti con gli avversari e con la Democrazia cristiana in particolare, ed aveva ripetutamente negato l’esistenza del “terzo livello”, di quella Spectre che avrebbe orientato, guidato e utilizzato Riina e compagni come braccio armato per consolidare il potere politico e finanziario dei gruppi dominanti. Falcone non negò certo l’esistenza di rapporti tra la mafia e alcuni settori della politica, ritenendo il “terzo livello” solo frutto di astratte speculazioni, di preconcette posizioni ideologiche.
Le dichiarazioni di Violante non servono alla storia. Sono semmai utili per tornare su un argomento che riaffiora quando ci si riferisce all’assassinio di Falcone e di altri esponenti delle istituzioni. In molte occasioni, talora con buone motivazioni, si torna a parlare della “solitudine”, della mancanza di solidarietà e di sostegno, della sensazione, avvertita dai poteri criminali, di trovarsi di fronte ad avversari determinati e intransigenti ma non sufficientemente protetti da chi avrebbe avuto il dovere di farlo. In realtà, Falcone spesso fu “solo”, ripetutamente bersaglio di critiche, di contumelie che arrivarono fino alla propalazione del sospetto di avere egli stesso collocato le bombe all’Addaura, di avere organizzato un auto attentato per una sorta di astinenza di popolarità.
Il magistrato venne accusato di essersi “venduto” al potere politico mettendosi al servizio dello Stato – bizzarra e incredibile accusa per un suo servitore –, di cercare costantemente visibilità sui media, si scrisse, come un “guitto” televisivo. Falcone assestava i colpi più duri alla mafia e contemporaneamente veniva bocciato per il ruolo di procuratore della Repubblica di Palermo, non aveva i voti per essere eletto al Consiglio superiore della magistratura, non era ritenuto idoneo a guidare la Direzione nazionale antimafia da lui fortemente voluta, proposta dal governo e approvata dal Parlamento con i voti del centro sinistra e con la contrarietà delle opposizioni di destra e di sinistra.
Anche questo è noto e non può essere oggetto di revisione storica. È noto, e tuttavia resiste un tentativo di camuffamento di quella verità, si continua a volerla cancellare o magari a ignorarla, lasciando nel vago lo svolgimento degli eventi per mantenere in vita una memoria collettiva che stravolge il loro flusso, assegnando alla sinistra vicinanza e solidarietà al magistrato e attribuendo ostilità alle forze di governo e in modo più specifico alla Democrazia cristiana. Forse il tempo, lentamente, come lenta è stata ad arrivare l’ammissione di Violante, può rimettere le cose al loro posto. Chi scrive ci prova, con qualche credibilità che gli deriva quanto meno dal non avere mai tentato di attenuare le responsabilità di alcuni settori del suo vecchio partito per quanto riguarda il rapporto con la mafia.
(Continua con un successivo articolo)