BAR, RISTORANTI E PARRUCCHIERI: SPIRAGLI PER LA RIAPERTURA

Un rigido protocollo sulla sicurezza, accompagnato da un puntuale e ben articolato codice di autoregolamentazione  concertato con le parti sociali.
CNA Sicilia prova a scardinare il “muro” della chiusura forzata che si prolunga e penalizza le categorie produttive, nonostante l’avvio della fase 2 dell’emergenza Coronavirus.

Il segretario regionale della Confederazione, Piero Giglione, in audizione alla Terza Commissione Legislativa dell’Ars, assieme ai due dirigenti, Francesco Cuccia di CNA Benessere e Sanità, e Tindaro Germanelli di Cna Alimentare,  ha esposto convincenti motivazioni, alla presenza anche dell’assessore alle Attività Produttive Mimmo Turano, affinché si arrivi in tempi rapidi alla riapertura di alcune attività, come quella degli operatori e  operatrici che si occupano della cura e benessere della persona.

“In linea con le ultime dichiarazioni del Premier Conte e nel rispetto della curva epidemiologica, che ad oggi offre in Sicilia risultati rassicuranti – spiega Giglione – il governo Musumeci è chiamato a valutare seriamente la possibilità di adottare un nuovo provvedimento. Ci sono tutte le condizioni – aggiunge – per continuare ad allentare le maglie e consentire alle attività economiche di tornare al lavoro, ovviamente nella ristretta osservanza di tutte quelle che sono le prescrizioni a salvaguardia della sicurezza pubblica.  E in questa ottica, va attenzionata pure la posizione del settore della ristorazione, il cui esercizio oggi è limitato all’asporto e alla consegna a domicilio”.

In Commissione Attività Produttive è emersa una volontà complessivamente positiva rispetto a queste due proposte di riapertura riavvicinata. Adesso sono attesi gli sviluppi.
“Io sono fiducioso – conclude Giglione – perché lo scenario delineato ha trovato condivisione, suffragato da un contesto, da non sottovalutare,  in cui le imprese non percepiscono gli adeguati indennizzi, commisurati agli ingenti danni subiti, non ricevono la liquidità richiesta e soprattutto non trovano ancora alcun riscontro rispetto al tanto decantato quanto necessario e fondamentale fondo perduto.  Ostinarsi a mantenere, per decreto, chiuse le aziende, significa condannarle a morte, trasformando di fatto la depressione in recessione economica”.